Insegnavo, vent'anni fa, al ragioneria di Foggia. Mi vedo in una chiara mattina d'inverno, con la mia borsa a mano da professorino, e mi capita di chiedermi come sia stato possibile che, così volontaristicamente attrezzato, mi sia beccato, in quella scuola, un richiamo del preside per come ero vestito - non fossero bastate le crisi isteriche, da studente, del mio professore di matematica: e i suoi lunghi rimproveri a mia madre ai colloqui.
Insegnavo italiano e storia, allora. Avevo il triennio. Non saprei ricordare nove volti su dieci, ma qualcuno s'è salvato, ammesso che possa essere una salvezza per chicchessia restare nella memoria di qualcuno. Tra gli altri, un ragazzino che aveva perso il padre da piccolo. Ma aveva avuto il buon senso, il padre, di scrivere qualche libro, e in questo modo continuava, se così si può dire, ad educare il figlio, che si aggrappava a quelle pagine per cercare un senso. Me li portò, i libri del padre. E li presi, diedi uno sguardo: non mi piacquero. E finirono su uno scaffale.
Lo ritrovai, lo studente, ormai ex studente, anni dopo. Trasformato. Lui ch'era il prototipo del ragazzo da oratorio, sfoggiava ora una mise punk nemmeno troppo straight edge. E dopo le informazioni di rito, la rivelazione: "Professore, tu m'hai plasmato". Che mi gettò nello sconforto.
Un giorno mi capitò, nella sua classe, di fare due passi, fino a casa - abitavamo vicini - con una studentessa. Le dissi, per fare conversazione, che mi pareva di perder tempo; che tutto quel parlare seduto su una cattedra fosse havel havalim, come dire 'na stronzata. Lei sorrise - aveva occhi azzurri grandi quanto una casa. E disse che non ci avevo capito niente. Ché, rivelò, da quando ero nella loro classe tutti si atteggiavano come me, pensavano come me, e qualcuno perfino si vestiva come me, per la gioia del preside.
Il mio narcisismo ne uscì gonfio come una vescica al mattino; ma mi rese pensoso, e non ho mai smesso d'esserlo. Pensoso e imbarazzato.
Ora che ho da decimare la mia biblioteca - uno su cinque, è l'obiettivo, se il cuore regge - mi chiedo che fare di quei libri, al quale lo studente s'aggrappava, e che per me sono solo uno spazio occupato sugli scaffali. Più in generale, mi chiedo che fare di me. Come farmi fuori, senza spargere troppo sangue in giro, per essere il padre di me stesso - perché non puoi essere padre di nessuno senza essere padre di te stesso.