Vengo a prenderti al nido. Stai giocando
con una scatola rossa. Mi guardi
ma sembri indifferente. Per un attimo
mi pare d'essere un estraneo. "Vieni?"
Mi raggiungi e ti prendo tra le braccia.
È andata bene, dice la maestra.
Sei tranquillo, non dai nessun problema.
Fuori è freddo. Domani sarà marzo.
Penso tornando a casa a questo tempo
che si fa così tardo: ed è un pensiero
che devo allontanare ad ogni costo.
A casa piangi piangi piangi. È sonno?
Ti prendo in braccio. Per un po' ti quieti
ma poi riprendi a piangere. Hai sete?
No, non hai sete. Piangi, piangi piangi
smetti un po', poi riprendi disperato
e ti contorci. Ti fa male il dente?
Non lo so. Sei mio figlio ma non so
cos'è che ti tormenta. Stai soffrendo
ed io, tuo padre, non so farci nulla.
@naciketas si vorrebbe evitare ai figli ogni male, quando sono piccoli e indifesi e non sai neppure come poterli aiutare, la sofferenza diventa strazio perchè ci si sente inermi. Nonostante questo dolore, la bellezza sta nella fusione totale con un altro essere a cui si è indissolubilmente legati.
@naciketas ho vissuto questo scenario da mamma tante tante volte. Hai tutta la mia empatia.