"È il campo educativo quello in cui la distinzione tra essere autorità ed essere autore è più importante e significativa. Un educatore che si consideri autorità si muoverà in un ordine gerarchico, in una visione sociale fatta di gradi; ai suoi occhi lo studente, il figlio, l’educando occuperà il grado più infimo. L’educazione sarà un processo unidirezionale. In quanto autorità, l’educatore non ha nulla da imparare dall’educando. Si pone nei suoi confronti come modello, meta del primo movimento di ascesa sociale. L’educatore autore al contrario si sottrae a qualsiasi ordine sociale. Vive in una società che è fatta di persone che, su uno stesso piano, comunicano, discutono, litigano, dicono sciocchezze o cose interessanti, creano e distruggono, ma sempre senza mai abbandonare l’orizzonte della comune umanità; senza costruire piramidi sociali che cristallizzano, anzi ghiacciano le relazioni. Occupando questo piano, è lui stesso immerso in questi processi: insegna quel che sa, mette in comune i valori in cui crede: e impara insieme a tutti.
Se consideriamo vera educazione questa seconda via (e io ne sono persuaso), essere una autorità è cosa assolutamente incompatibile con l’essere un educatore. Si dirà che l’educatore dev’essere autorevole, ma si tratta appena di una variazione, perché l’autorevolezza è la condizione di qualcuno che crea il silenzio intorno a sé, quando parla. E può essere che quel silenzio sia riempito da parole densissime e vere: ma l’educazione è incrocio dialogico di voci, anche traballanti, e non ascolto di una voce."
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