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In moltissime classi, quasi ogni giorno, accadono atti anche gravi che coinvolgono gli studenti. Si va dallo studente che lancia una bottiglia piena contro il compagno a quello che durante la gita scolastica fa sparire l’insulina della compagna diabetica, rischiando di ammazzarla. Tutti questi atti, come è giusto che sia, non finiscono sui giornali. Sono ordinaria amministrazione. Dal momento che non finiscono sui giornali, nessuno ha da ridire se uno studente, anche dopo aver compiuto una cosa grave, viene promosso: e magari anche con un buon voto in condotta. Perché a scuola si valutano i progressi, e se uno studente dopo aver fatto un errore ne è diventato consapevole, la scuola ha raggiunto pienamente i suoi obiettivi educativi. E’ successo quest’anno in una delle mie classi: una studentessa sospesa per un fatto grave è cambiata radicalmente nel secondo quadrimestre. E ne abbiamo preso atto. Penalizzarla per la condotta a fine anno avrebbe significato negare un processo in atto: etichettarla, fissarla a quel comportamento sbagliato. Diseducarla.
A quanto pare va diversamente quando a subire un atto più o meno violento è un docente. Che, certo, è un /pubblico ufficiale/. Ma in un contesto educativo tutti dovrebbero avere la stessa importanza, lo stesso diritto al riconoscimento, la stessa intangibilità. Un atto contro compiuto da uno studente contro un altro studente ha esattamente la stessa gravità di un atto compiuto contro un docente.
C’è un paradosso nella discussione pubblica sul caso della docente impallinata. Chi si dice scandalizzato per quella promozione e per quel voto in condotta, rivendica il rispetto dei docenti. Ma lo fa mancando di fatto di rispetto ai docenti di quel consiglio di classe, con la pretesa assurda di sostituirsi a loro nel giudizio, senza nulla sapere delle persone e delle situazioni.

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