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Considerato in un’ottica filosofica il problema del rapporto tra culture è dunque ridimensionato. Lo sguardo filosofico su una cultura consente di considerarne la ricchezza interna, il pluralismo, le molteplicità di posizioni che ha espresso nel corso del tempo. Abbiamo compiuto l’errore di leggere il rapporto tra le culture in una prospettiva religiosa che rende ogni cultura chiusa e ferma nella sua identità. Sub specie religionis il mondo è dominato dai grandi blocchi culturali del cristianesimo, dell’islam, dello hinduismo eccetera. Sub specie philosophiae ognuno di quei blocchi si rivela come il fragile tentativo politico di forzare all’unità una complessità irriducibile. Dietro il nazionalismo hindu, ad esempio, appare la complessità di un mondo culturale che fin dai tempi più antichi ha espresso posizioni scettiche, materialistiche, ateistiche, che oggi sono certamente minoritarie, ma esistono (si pensi, per il secolo scorso, alla figura di Goparaju Ramachandra Rao, detto Gora).
Sul piano politico, adottare lo sguardo filosofico vuol dire procedere oltre la posizione del multiculturalismo, che compie appunto l’errore di identificare una cultura con la sua religione. Una identificazione che non vale per nessuna cultura, nemmeno per quelle che sono finite sotto il controllo del fondamentalismo religioso. Di più: identificare una cultura con la sua religione vuol dire appunto fare il gioco dei fondamentalisti, accettare in nome della pluralità e del rispetto della differenza ciò che ne è l’esatto contrario, ossia la riduzione di ogni fatto sociale e culturale alla religione (e per lo più riducendo la stessa complessità religiosa a uno solo dei suoi aspetti).
Da “Ponti, incastri e zattere. Saggi di filosofia interculturale”, in preparazione.

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