Ho detto che una situazione educativa è tale se aumenta la potenza di agire. È chiaro, ora, che la socializzazione non solo non si identifica con l’educazione, ma in qualche modo rappresenta un movimento opposto ad essa. Nella situazione educativa il soggetto si espande, e questa espansione non tollera limiti; la socializzazione impone invece dei limiti. Il bambino, attraverso l’autoeducazione, ha imparato a camminare. La sua potenza di agire è aumentata in modo notevole: ora può andare dove vuole, raggiungere ciò che desidera, avviarsi verso un’esistenza soggettiva. Ma i genitori dovranno porre dei limiti a questa sua potenza d’agire: il bambino dovrà comprendere che vi sono delle situazioni nelle quali non può correre, altre nelle quali dovrà, che gli piaccia o meno, star seduto. “Si mangia seduti”, e dunque non potrà muoversi liberamente per la stanza; ciò impongono le regole sociali. Così come non è possibile parlare o cantare in certe situazioni, e non si può prendere e toccare tutto.
Il bambino è costretto di continuo a limitare la sua potenza d’agire conquistata con tanta fatica. Ed è normale che protesti. Si dirà che in questo modo impara una cosa di enorme importanza educativa: che ogni potenza dev’essere contenuta in un limite, altrimenti diventa socialmente pericolosa; il movimento espansivo della possibilità incontra presto l’esistenza dell’altro, che non tollera la pratica di qualsiasi possibilità.
Occorre dire, tuttavia, che il bambino si muove in una società di adulti, le cui regole sono, appunto, regole di adulti. Si può dire che è, di fatto, il rappresentante di una classe socialmente oppressa. Nessuno ha espresso questo fatto evidente, e tuttavia così difficile da cogliere, meglio di Janusz Koczak in Il diritto del bambino al rispetto. “Quando perfino un mendicante – scrive – dispone come crede dell'elemosina ricevuta, il bambino non possiede alcuna cosa completamente; deve render conto di ogni oggetto messogli gratuitamente in mano: non può strappare né rompere né sporcare né dare né rifiutare. Deve accettare e mostrarsi soddisfatto. Tutto è previsto e stabilito prima, il luogo e l'ora, con prudenza e secondo la natura di ogni occupazione”.
Non si può negare, stando così le cose, che la socializzazione contenga in sé il rischio costante di essere violenta e di agire in senso diseducativo. Lo è tutte le volte che non tiene conto delle esigenze profonde del bambino e le sacrifica alla tranquillità sociale, spesso senza nemmeno tentare una mediazione. Bisogna osservare che l’azione socializzante dell’adulto avviene per lo più nelle situazioni sociali che hanno l’adulto per protagonista. Il bambino deve comportarsi bene al ristorante, ad esempio, perché la sua esuberanza può irritare le persone agli altri tavoli, e a nessuno importa quanto può essere difficile per un bambino restare seduto per più di un’ora. Accade anche che un adulto intervenga nella relazione del bambino con gli altri bambini, per far sì che il suo comportamento risponda alle norme sociali. È importante, ad esempio, che il bambino capisca che non può picchiare gli altri bambini. Ma è facile osservare che in questo caso le cose vanno da sé. Proprio come hanno imparato da soli a camminare o a parlare, i bambini imparano da sé come regolarsi con gli altri bambini. E anche questo ha un valore educativo: perché se da un lato la potenza di agire sembra diminuire, dall’altra invece aumenta in modo significativo. La potenza di agire aumenta insieme agli altri. Il bambino dovrà rinunciare al diritto di avere per sé tutti i giochi, o di appropriarsi dei giocattoli dell’altro bambini. Ma in compenso scoprirà il divertimento ben più grande che viene dal giocare insieme ad altri. E in questo caso non di tratta si socializzazione. Gli adulti insegneranno certo attività coordinate, ma quelle significative saranno le attività comuni che i bambini hanno scoperto e creato da sé.
Da "Insegnare. Un'idea di scuola", in preparazione.