«È all'atto del cambiamento che rinunciamo - se è possibile dirlo - all'investimento melanconico che non conosce la rassegnazione poiché non accetta la perdita e neanche impara a conviverci. Talvolta sono proprio i luoghi condivisi con chi ci lascia per sempre a diventare le gabbie idealizzate di cui diventiamo prigionieri. Cambiare vuol dire dunque muoversi, spostarsi, spaesarsi per incontrare il noi stessi che è sopravvissuto all'altro e che vive senza.»