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«Costituisce una discriminazione indiretta applicare lo stesso periodo di comporto, previsto per la generalità dei lavoratori, anche a coloro che hanno un handicap (come appunto il cancro).

L’azienda non può trattare tutti i dipendenti allo stesso modo: è naturale che chi ha una patologia più grave ha bisogno di più tempo per le cure. E siccome la nostra Costituzione è fondata sul principio di solidarietà, è necessario adottare maggiore “flessibilità” per il dipendente che sfora il comporto per curarsi da un tumore.

Lo dice anche la direttiva 2000/78/CE: il datore di lavoro è tenuto ad adottare “accomodamenti ragionevoli” nell’organizzazione del lavoro per salvaguardare il posto del dipendente svantaggiato, a meno che ciò non comporti costi sproporzionati.
Questi accomodamenti dovrebbero riflettere principi di solidarietà sociale, correttezza e buona fede, fino a prevedere un maggior tempo di comporto.

Cosa significa in pratica tutto ciò?
Secondo la Corte Suprema, un lavoratore affetto da tumore, licenziato per aver superato di poco il periodo di comporto definito dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro a causa delle sue assenze, ha diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro.»

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