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«Il termine stesso di “frattura sociale” deriva da un tentativo di riabilitazione delle antiche condizioni oggettive del capitale e del lavoro. Proprio come gli utopisti del XIX secolo cercavano, in pieno sviluppo industriale, di resuscitare i valori legati alla terra e all’artigianato, così noi cerchiamo, in pieno universo informatico e virtuale, di resuscitare le relazioni e i conflitti sociali legati all’era industriale. Stessa utopia, stessa illusione ottica. Tanto peggio per quell’età dell’oro dei rapporti di forza e delle contraddizioni dialettiche. Persino l’analisi di Marx derivava già da una semplificazione deterministica dei conflitti e della storia, ma era legata a un movimento ascendente, e alla possibilità di una negazione determinata: il sociale, come il proletariato, erano ancora dei concetti destinati a superarsi e a negarsi essi stessi. Non ha niente a che vedere con la mistificazione positivistica del sociale e del lavoro nel nostro contesto attuale. Ciò che è perduto nella nostra socialità “interattivistica”, è proprio il lavoro del negativo, e la possibilità di una negazione determinata delle condizioni oggettive. Non ci sono più “condizioni oggettive”. In modo più generale: la virtualità dell’informazione non offre più la possibilità di una negazione determinata della realtà. Non c’è più realtà “oggettiva”. Tanto vale prenderne atto e non sognare una situazione morta. Non siamo più nel negativo e nella storia, siamo in una specie di devitalizzazione dei rapporti di forza e dei rapporti sociali a vantaggio di un’interfaccia virtuale e di una performance collettiva diffusa, al crocevia di tutti i flussi speculativi, flusso dell’impiego, flusso dei capitali, flusso dell’informazione. Ma bisogna prendere questa situazione come inedita, e se la storia è diventata una farsa, secondo le parole di Marx, potrebbe darsi che questa farsa, riproducendosi essa stessa, diventi la nostra storia.»
—[Jean Baudrillard, Lo scambio impossibile, pag. 32-33]

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