Il corto circuito - at- #scuola
@naciketas mettere a tema (giustamente) l'inconsistenza e l'inutilità delle generalizzazioni, i teoremi calati a partire da un particolare, e poi però seguire lo stesso movimento rispetto alla psicologia e agli psicologi... apprezzo diverse considerazioni dell'articolo e le condivido, non mi sembra invece che portino da qualche parte le generalizzazioni sulla psicologia, che non è riducibile all'arcipelago della psicoanalisi o di una qualunque altra (vecchia) prospettiva. Peraltro, esiste un movimento interno alla psicologia stessa che parte da presupposti molto diversi, sviluppando prospettive e metodi altrettanto diversi da quelli conosciuti nella vulgata della psicologia come esrcizio della chiacchiera. Se ciascuno facesse il suo lavoro, cercando il dialogo con gli altri, eviteremmo meglio i "teoremi" e forse potremmo aprire prospettive più utili e praticabili per tutti.
@Gert spesso non vuol dire sempre. Che la psicanalisi non sia scientifica è una affermazione che non comporta alcuna generalizzazione. Altre correnti sono anche meno scientifiche. Altre hanno ben altro valore, ma comunque sono esposte al fallimento. La psiche umana non è un motore che si aggiusta conoscendone i meccanismi, come crede molta gente.
@Gert Ma niente affatto: sono due scuole che hanno poco o nulla in comune. Non ho la minima idea di cosa voglia dire "portare alla luce i problemi della vita". La persona me la sono lasciata alle spalle a metà anni Novanta.
@naciketas la persona non c'entra nulla. Si tratta di come si arriva al senso e significato della esperienza vissuta da un Chi nelle due prospettive. In entrambe l'esperienza è annullata dalla spiegazione teoretica dei modelli. Trovi abbondanti tracce di questo anche solo leggendo le opere originali di Freud, un problema che è stato più volte denunciato da diversi autori della stessa psicoanalisi. Non è affatto una polemica, davvero, ma è evidente che non conosci né la storia né i presupposti epistemologici di quelle due prospettive, c'è abbondante letteratura a sostegno di quello che accenno ma non sono letture per dilettanti.
@Gert ho capito solo che devo leggermi Freud. L'ho fatto, a dire il vero, anche perché insegno psicologia. Il resto di quello che hai scritto mi è incomprensibile.
@naciketas va bene, giusto per il piacere di un dialogo. Se hai letto Freud, forse dovresti aver colto che già dal 1905 i concetti di investimento (Besetzung), di rappresentazione (Vorstellung) e di pulsione (Trieb) sono il disperato tentativo di superare il vuoto - più propriamente l'abisso - che separa il mondo esterno dal mondo interno. La separazione tra questi due "mondi" (postulati) e gli avvitamenti per tentare di costruire un ponte tra i due è l'aspetto che accomuna le due prospettive, quella della energetica psicoanalitica e quella cognitivista. Il fatto che i cognitivisti si appellino a dei correlati neurali o ai processi di elaborazione della informazione non cambia nulla rispetto alla impostazione di fondo e ai suoi naufragi. Entrambe le prospettive finiscono per perdere completamente il contatto con il senso e il significato della esperienza vissuta (das faktische Leben), soffocata nelle spiegazioni teoretiche (il riferimento è Heidegger, ma lasciamo stare). Questo in sintesi.
Non sono cose che mi sto inventando, sono nessuno, trovi critiche ed analisi dettagliate in autori come Kaltenbeck, Wyss, Kohut, Heidegger, Ricoeur (soprattutto) e tanti altri...
Permettimi, insegnare psicologia è cosa ben diversa dal doversi prendere la responsabilità nella cura. Insegno anch'io (non nelle scuole) ma poi mi devo fare carico penalmente di un adolescente che si taglia o che arriva accompagnato dai genitori per una anoressia ai limiti del ricovero, di quello che intende farla finita... Studiare anatomia non fa di me un medico. Le cose cambiano molto quando dobbiamo rispondere penalmente di ciò che sappiamo (o crediamo di sapere) e di ciò che ne facciamo. In questo, pur apprezzando diversi punti, ho trovato il tuo articolo un po' spocchioso nella pretesa di decidere chi sia degno di fiducia e chi no, oltretutto partendo da generalizzazioni.
Se vuoi puoi trovare una articolazione più dettagliata di alcune faccende alle quali accennavo in questo testo, abbastanza recente: https://link.springer.com/book/10.1007/978-3-319-78087-0
@Gert Mi pare che sintetizzi un po' troppo. Che vuol dire, ad esempio, il riferimento a Heidegger? Quale Heidegger? Io direi piuttosto Dilthey o lo Husserl della "Crisi delle scienze europee", se ho capito quello che vuoi dire - ma continuo a non esserne sicuro.
Dici che hai la responsabilità della cura, e che questa cosa è diversa dall'insegnare. Vero, anche se lo stesso insegnamento comporta qualche responsabilità. Tra le altre, avviare gli studenti a pensare scientificamente, quando si tratta di psicologia. Se avessi la responsabilità della cura, mi porrei il problema cento volte di più. Posso mettere le mani nella vita di una persona avendo come riferimento teorico, poniamo, le idee di Jung (una persona che aveva evidenti problemi di patologia mentale), o di Assagioli o di Massimo Fagioli? Devo considerarle scientifiche solo perché i loro fondatori si consideravano scienziati?
Ma soprattutto discutevo la fiducia illimitata nell'efficacia della cura. Freud, come sai, è morto di un cancro alla mascella dovuto alla sua dipendenza dal sigaro. Che non è riuscito a curare.
@naciketas sintetizzo perché qui non è possibile fare o dire oltre su faccende davvero complesse. Comunque, il riferimento ad Heidegger era soprattutto ai lavori giovanili (1919-1925) quelli che proprio a partire dal problema della vita fattizia (das faktische Leben) lo portarono alla critica dello "psicologismo", alla rottura con Husserl e allo sviluppo del metodo della "formale Anzeige" (Phänomenologie des religiösen Leben).
So bene delle responsabilità di un educatore, per questo pur avendo letto di pedagogia, non mi permetto di sparare a zero su chi insegna solo perché la scuola è piena di problemi o ci sono insegnanti che non fanno bene il loro lavoro. La loro responsabilità non mi mette sullo stesso piano, indipendentemente dalle letture e dalle opinioni. Vale anche per altre professioni "responsabilizzanti".
Prima di cambiare facoltà ho attraversato il biennio di fisica, credo di avere qualche idea di cosa significhi studiare un fenomeno nella prospettiva del metodo. Dopodiché ci sono fenomeni che richiedono altri approcci, altri metodi, altri percorsi veritativi, questo l'ho imparato da Heidegger, Gadamer, Patocka e altri maestri della fenomenologia.
La psicologia alla quale fai riferimento sta morendo, anzi è morta da un pezzo,(Gazzaniga, The mind's past), anche se ci sono psicologi e psichiatri che sembrano non essersene accorti (Heidegger, Seminari di Zollikon). È rassicurante procedere ben legati a una fune (un modello) quando devi attraversare un abisso, altra cosa è fare storia della psicologia. Il testo che ti ho indicato sviluppa e articola bene queste ed altre questioni. Non riesco a dire di più su un social, mi dispiace. Se in qualche modo le mie considerazioni ti hanno infastidito me ne scuso.
@Gert Se qualcuno attribuisse alla pedagogia e all'educazione il potere di risolvere tutti i problemi o quasi, faresti bene a sparare sulla pedagogia, anche senza aver letto un solo libro di pedagogia. Perché i fallimenti dell'educazione sono sotto gli occhi di tutti. Ho seguito anni fa un bambino che è morto poi a vent'anni mettendo una bomba a un negozio. Chi educa fallisce nove volte su dieci. Ora, mi piacerebbe credere il contrario, ma dubito che la terapia sia in condizioni migliori. Chi cerca di guarire fallisce non meno di chi cerca di educare: e questo va detto per evitare soluzioni semplicistiche. Perché l'appello allo psicologo questo è: una scorciatoia per non affrontare i problemi. Ad esempio il carattere diseducativo della scuola. Gli studenti ci stanno male - e non per via dei voti, ma per le relazioni malate -, ma invece di cambiarla di moltiplicano gli psicologi scolastici. Ai quali ormai non credono nemmeno più gli studenti.
@naciketas questi erano gli aspetti del tuo articolo sui quali mi trovavo d'accordo. Non ho mai creduto né ho mai detto che la "psicoterapia", la psicologia o la psichiateia siano la soluzione a ogni problema. Non si ammalano solo i corpi, si ammalano anche i contesti, le reti di senso e significato.
@Gert ma nell'articolo discutevo la fiducia negli psicologi, "persone che spesso si sono formate su concezioni non meno fantasiose di quelle che si insegnano in seminario possano risolvere tutto".
Il che vuol dire che dicevo due cose:
- Spesso gli psicologi e gli psicoterapeuti hanno una formazione discutibile dal punto di vista scientifico. Spesso non vuol dire sempre. Ci sarebbe poi da parlare anche dei counselor, che si stanno ritagliando anche loro un posto nelle scuole.
- Qualsiasi ottimismo sull'efficacia della psicoterapia si accorda poco con la realtà. E in genere le promesse più alte provengono dalle teorie - e dalle persone - meno serie.
@naciketas la prospettiva cognitivo-comportamentale condivide i medesimi presupposti filosofici ed epistemologici della psicoanalisi, ed arriva ai medesimi (irrisolti) problemi: non riesce a portare alla luce i fenomeni della vita e si perde per strada l'esperienza stessa della persona insieme ai significati. Gli studi di Wampold hanno chiaramente mostrato che i modelli spiegano solo l'1% dei risultati di una terapia, è anche da qui che è partito un nuovo indirizzo di studi e di ricerche. Il tuo articolo, del quale condivido molte riflessioni, è solo un modo per aprire un dialogo sia pure a partire da ciò che invece non condivido.