Ho parlato oggi in quinta delle condizioni dei migranti nelle carceri libiche e del sostegno italiano. Mi hanno chiesto perché non se ne parla. Io mi sono chiesto perché nessuno ne parla a scuola. Avremmo bisogno oltre alla Giornata della memoria di una Giornata dell'attenzione. #scuola
Giorgio Alberto Chiurco è stato il capo degli squadristi fascisti a Siena. Responsabile di innumerevoli, terribili crimini. Dopo la liberazione viene condannato a morte, poi all'ergastolo, poi a vent'anni. Poi ottiene l'amnistia e torna libero. Riottiene anche la cattedra universitaria. Così, giusto per fare memoria.
Quando lo Stato agisce come una organizzazione criminale.
Perché abbiamo il dovere di insegnare le filosofie (e non solo) non occidentali.
https://www.attraversamenti.info/il-dovere-di-essere-transculturali/
Oggi seminario maieutico su Schopenhauer. Siamo d'accordo con la sua visione della vita? L'esistenza è dolore e noia? #scuola
Difficile anche solo immaginare di cosa sarebbe stato capace se non fosse morto a undici anni.
Una faina. La vita di una faina. Un romanzo sulla vita di una faina. E non un romanzo qualsiasi: un romanzo che ha vinto il Campiello.
Come si racconta la vita di una faina? Bisognerà provare ad _essere_ una faina. Chiedersi cos'è essere un animale. Qualcosa alla Uexküll, ma con in più il talento del narratore. Bello!
Questo pensavo, più o meno, apprestandomi alla lettura di _I miei stupidi intenti_ di Bernardo Zannoni (Sellerio, Palermo 2021), con le migliori aspettative: sia perché, appunto, ha vinto il Campiello, sia perché se ne dice un gran bene.
Mi trovo subito alle prese con una faina che si chiama Archy. Perché Archy? Sarà perché le faine vivono negli Stati Uniti? Ma no. Il loro habitat è europeo e mediorientale. La nostra faina avrebbe più realisticamente potuto chiamarsi Peppino. Ma soprattutto: che faina è una faina che ha un nome? Per giunta parla. E dorme in un letto. Gli animali di Zannoni hanno il comodino e la lampada, e quando occorre chiamano il medico: e dunque no, niente Uexkül. Nessuno sforzo di _essere una faina_. Ma nemmeno ci si muove in un mondo disneyano: la cosa diventa chiara oltre ogni possibilità di equivoco quando la mamma di Archy fa saltare un occhio alla sorella con una zampata.
Gli animali di Zannoni compiono gli atti più efferati con assoluta naturalezza, come si conviene a degli animali. E sarebbe pur interessante, la storia, se ritrasse un mondo umano ricondotto ai suoi primordiali istinti animali: la sopravvivenza, la conquista della femmina, la riproduzione. Ma ciò avrebbe richiesto rigore e metodo. E invece abbiamo una femmina di faina che, contro ogni saggezza animale, si innamora del protagonista, pur sapendolo fragile, perché gli sembra buono. Siamo, insomma, in un mondo di mezzo, che oscilla di continuo tra l'umano e l'animale, e che rende poco plausibile il dramma della volpe Solomon, figura pur interessante, che scopre in un solo colpo che esiste la morte, che esiste Dio e che esistono la Scrittura (la Bibbia) e la scrittura. Quattro cose umane, la cui conoscenza illude la vecchia volpe di essere in realtà un essere umano: come se non fosse già un essere umano mascherato da volpe. Che muore disperatamente, in pagine tra le più belle del libro, nudo d'ogni certezza. Inverando, della sua amata Bibbia, il solo libro di Qohelet.
La morte del protagonista invece, con cui il libro si conclude, è la parte meno riuscita del libro. E non solo perché fa strano questa vecchia faina che in un lago di sangue prende la penna, anzi l'aculeo del suo amico istrice Klaus (anche qui non si capisce bene perché il nome tedesco), per raccontare in diretta la sua fine, ma perché anche nel momento supremo la nostra faina resta indecisa: morire da animale, finalmente, o sperare che ci sia qualcosa, come un uomo?
Insomma: questi esseri usciti dalla fantasia di Zannoni non sono né animali né esseri umani e soffrono per questa l1oro condizione limbica, tentati ora dall'innocenza animale ora dall'immortalità che illude gli umani. E spiace, si simpatizza con loro, ma alla fine si resta un po' come Said dopo aver ascoltato la storia di Grumwalski ne _L'odio_ di Kassowitz: "Che ce l'ha raccontato a fare?'
As a child, I did not have many social experiences. To be more precise, I had no social experience at all. One day a friend of my brother had the idea, who knows why, of proposing that we spend the afternoon together. At my house. I was bewildered. A whole afternoon. He had to like me, be nice, pretend to be a bit like him. At that time I was studying some black magic: and so I proposed that we spend the afternoon studying the grimoire. It was the only afternoon of my life wasted trying to please someone, with predictably disastrous results. For one thing at least, black magic served me well: to make those who came too close disappear.
Direttore responsabile di "Educazione Aperta", scrivo quando capita anche su "MicroMega" e "Gli Asini". Ateo sbattezzato, buddhista theravada, anarchico. E nulla di tutto questo.
Vivo a Siena con Xho, nostro figlio Ermes e il cane Mirò Chomsky.