@pittando sono sicuro che sarai felicissimo sotto il fascismo russo. Ma è triste che il vostro fascismo si ammanti di pacifismo.

Dare a Di Cesare quel che è di Di Cesare

Quando il fascista Putin ha aggredito l'Ucraina - e si trattava, e si tratta, di molta gente innocente massacrata, come continuazione del genocidio voluto da Stalin - Donatella Di Cesare ha negato il diritto degli Ucraini alla resistenza armata, in nome della nonviolenza.

Ora commenta la morte della brigatista rossa Barbara Balzerani con queste parole:

"La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna."

Dimenticando il principio fondamentale della nonviolenza: che i mezzi sono fini. E dunque le cose sono due: o è ed è sempre stata ignorante e ha parlato a vanvera di pace e nonviolenza, o è ed è sempre stata in malafede.

@lelloba Prima di cominciare a leggerla avevo fatto un sondaggio tra amici. Tutti mi avevano consigliato la traduzione di Raboni. Ma in effetti ha dei limiti.

Proust:

>que je me donnais l’air d’un malotru, d’un vieil ours.

Raboni:

>che mi comportavo come uno zulù, come un vecchio orso.

Villano, cafone, zotico, bifolco. La scelta era ampia. No, Raboni sceglie zulù.

@Cincia
“Lo straniero non aveva nessun diritto sopra l’opinione, l’amore, il favore degli antichi. E parlo
degli antichi nelle nazioni più colte e civili, e in queste, degli uomini più grandi, colti, ed anche
illuminati e filosofi. Anzi la filosofia di allora (che dava molto più nel segno della presente) insegnava e inculcava l’odio nazionale e individuale dello straniero, come di prima necessità alla conservaz. dello stato, della indipendenza, e della grandezza della patria. Lo straniero non era considerato come proprio simile. La sfera dei
prossimi, la sfera dei doveri, della giustizia, dell’ onesto, delle virtù, dell’onore, della gloria stessa, e dell’ambizione; delle leggi ec. tutto era rinchiuso dentro i limiti della propria patria, e questa sovente non si estendeva più che una città. Il diritto delle genti non esisteva, o in piccolissima parte, e per certi rapporti necessari, e dove il danno sarebbe stato comune se non avesse esistito.”

Leopardi, Zibaldone, 872-911.

Dalla mia traduzione di Lucrezio (Libro II).

Spesso davanti agli splendidi templi
degli dei, sugli altari profumati
d’incenso viene ucciso un vitellino:
un caldo fiume di sangue gli scende
355 dal petto. Ma la madre, desolata,
percorre senza sosta i verdi anfratti
cerca dovunque la bifida impronta
getta lo sguardo inquieto in ogni luogo
se mai vi fosse il cucciolo amatissimo
e si ferma e muggisce tanto forte
da riempire l'intero bosco intorno
e ritorna alla stalla, e poi ancora,
360 straziata dall'assenza di suo figlio,
e né i teneri salici né l'erba
vivida di rugiada né il ruscello
che scorre giù, carezzando la riva,
possono darle alcun conforto o toglierle
la sofferenza che le invade l'animo;
365 né può distrarla o alleviare il dolore
la vista di altri vitelli nel campo
rigoglioso: perché quello che cerca
è proprio suo e lo conosce bene.

Con il consueto equilibrio Matteo Salvini ha commentato il caso di Ilaria Salis, la donna italiana condotta in tribunale con i ceppi in Ungheria perché accusata di aver aggredito dei neonazisti durante una manifestazione. S’è detto scandalizzato, Salvini, perché “questa Salis” fa la maestra: lui ha evidentemente un’altra idea di come dev’essere una brava maestra italiana. E la cosa non sorprende. Quello che un po’ sorprende, perfino in Salvini, è che abbandoni del tutto, perfino cercando di screditarla con una notizia falsa (quella di una passata aggressione a un banchetto della Lega, per la quale la donna è stata assolta), una cittadina italiana:

Ma quella donna se è colpevole deve pagare. E se il reato l’ha commesso in Ungheria deve essere processata in Ungheria. La sinistra ci dice sempre che dobbiamo rispettare la magistratura, ecco, allora rispettino anche la magistratura ungherese.

Non si può fare a meno di ripensare alla reazione ben diversa che Salvini ebbe quando il Tribunale del Mare condanno a restare per altri due anni in India i due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, che in India non avevano malmenato qualche neonazista, ma avevano ucciso due pescatori. Allora i giornali lo descrivevano come “sconcertato e infuriato”. Al Tempo aveva dichiarato:

È un caso emblematico del peso politico dell’Italia nel mondo prima di tutto. E ciò si ripercuote nelle misure che danneggiano la nostra agricoltura, la nostra industria, il nostro mercato. […] La storia dei servizi segreti di mezzo mondo dimostra che quando vuoi portare a casa qualcuno, o vuoi catturare una persona in territorio straniero si fa. Se si vuole.

Nella visione del mondo di Salvini due marò accusati di omicidio sono italiani, italiani veri, e come tali vanno difesi contro ogni evidenza, e a costo di rompere le relazioni con uno dei più importanti stati mondiali. Una maestra antifascista invece non è nemmeno italiana: e va abbandonata a sé stessa. Anzi: attaccata pubblicamente per indebolirla ulteriormente.
Non esistono, per Salvini e per la nuova destra italiana, gli italiani. Esistono i suoi italiani. E solo quelli vanno difesi. La sua italianità è un grumo di merda tradizionalista, che raccoglie l’eredità schifosa del cattofascismo in una surreale, penosa, ridicola versione 2.0, in lotta aperta e risentita contro tutto quello che, nonostante tutto, il nostro Paese è riuscito a conquistare negli anni sul piano dei diritti civili.>

# Progettazione didattica condivisa

Alla fine del primo quadrimestre abbiamo fatto in quarta, come previsto, una valutazione della sperimentazione della Progettazione didattica condivisa, per decidere se continuare o meno.
La classe ha scelto di continuare.

Queste sono le mie osservazioni:

Il problema principale emerso, segnalato dagli studenti, è la lentezza. Gli studenti hanno scelto di procedere per lo più con lo studio autonomo e per gruppi, con periodiche lezioni del docente; ciò ha richiesto un tempo per affrontare i temi quasi doppio di quello necessario con la lezione. Pur essendo sempre stato a disposizione degli studenti per ogni chiarimento necessario sugli argomenti studiati, gli studenti in qualche caso si sono sentiti un po’ abbandonati a loro stessi. Mentre l’impegno della maggior parte del gruppo è stato apprezzabile, alcuni studenti hanno impiegato la libertà d’azione in modo poco costruttivo; l’impressione però è che l’incidenza di questi comportamenti sia un po’ esagerata nella valutazione complessiva. Del resto, anche con il metodo tradizionale una minoranza degli studenti tendeva a dissociarsi dal lavoro comune.

La sperimentazione offre agli studenti uno spazio di esplorazione di pratiche di studio alternative alla lezione. Il gruppo ha adottato da subito lo studio individuale e di gruppo e ha proseguito così per tutto il quadrimestre. Ho evitato di dare sollecitazioni su modalità alternative di organizzazione, perché desideravo che le esplorassero da soli.

Non tutte le competenze che sono state scelte come rilevanti all’inizio dell’anno sono state adeguatamente stimolate dal lavoro dei gruppi; in particolare non sono stati letti abbastanza testi dei filosofi. Mi sorprende anche che gli studenti non abbiano chiesto di tenere seminari di Maieutica Reciproca: ne è stato fatto solo uno, a dicembre. Probabilmente temevano di perdere altro tempo prezioso.

Fin qui gli aspetti negativi. Gli aspetti positivi emergono con decisione dalla valutazione degli studenti. Hanno acquisito più autonomia, che era l’obiettivo principale. Anche lo spirito di collaborazione sembra essere migliorato. L’aver stabilito insieme cosa studiare e con quali tempi ha dato alla classe la sensazione di perseguire un lavoro comune, e non di essere spinti dal docente a completare il programma.

Molto positiva sembra la pratica delle interrogazioni tra pari, soprattutto per superare l’ansia e il malessere che ormai sono associati alle verifiche. Un aspetto negativo è che viene a mancare quel momento di dialogo che, anche durante le verifiche, è un momento di approfondimento e di confronto culturale.

Accogliendo le proposte degli studenti, nel secondo quadrimestre procederemo alternando studio di gruppo con mie lezioni. Tenendo sempre aperta però la possibilità di una diversa organizzazione del lavoro. La Progettazione didattica condivisa non è un metodo didattico, ma il riconoscimento del diritto del gruppo della classe di ricercare in modo autonomo, con la collaborazione del docente, il metodo di volta in volta più adatto per raggiungere gli obiettivi di conoscenza e di competenza che sono stati condivisi.

attraversamenti.info/valutazio

@diffrazioni A dire il vero c’è anche il genocidio dimenticato del Congo fatto da Leopoldo II del Belgio. Dieci milioni di morti, ben prima di Hitler.

@Cincia Qui primo Levi accusa Leopardi di essere nazista.

Da Consegnarsi. Breve saggio su quello che si fa a scuola, in preparazione.

Bisogna educare, dunque: e per farlo non basta insegnare le regole sociali, che è un’altra cosa. Ma cos’è, allora, educare? Prima di azzardare una risposta consideriamo ancora cosa non è educare.
Molti educatori, mossi dalle migliori intenzioni, ritengono che educare significhi portare la persona o le persone che hanno la responsabilità di educare verso un loro ideale o modello. Si tratta, in genere, di un duplice modello. Da un lato hanno una certa idea di come debba essere una persona e cercano di condurre i loro figli o i loro studenti verso questo modello. Il quale non è altro che una fotografia più o meno fedele di quello che è lui stesso, l’educatore. Ogni insegnante pertanto desidera che il suo studente faccia spazio in modo significativo, nella sua vita futura, all’elemento intellettuale; e sarà felicissimo se si dedicherà in modo particolare alla sua disciplina. Può essere al contrario che un genitore che faccia un lavoro manuale desideri avere come figlio un futuro bravo meccanico o idraulico, e consideri con perplessità un futuro da laureato in filosofia.
Dall’altro lato c’è un modello di società, che agisce in particolare in coloro che educano e insegnano per professione. Sappiamo che è desiderabile un certo tipo di società: democratica, inclusiva, egualitaria, pacifica. Lo sappiamo perché ce lo dice la Costituzione, e pensiamo in assoluta buona fede che il nostro compito, in quanto insegnanti, sia quello di condurre i nostri studenti verso questo ideale.
Per educare dunque dovremmo delineare un modello di individuo e un modello di società. Ma come farlo? Chi ha il diritto di stabilire quale individuo è desiderabile diventare? La questione del modello di società sembra meno difficile. Siamo in una società democratica, abbiamo regole e valori condivisi, al di là delle differenze politiche. E tuttavia sappiamo che queste differenze esistono, e il modo di concepire la democrazia, le sue regole e i suoi valori di una persona di destra sono assolutamente diversi da quelli di una persona di sinistra. E la faccenda si complica quando si considerano alcuni valori legati – almeno nella percezione comune – al mondo del lavoro, come la competitività e l’efficienza. Buona parte della polemica pedagogia (più spesso: anti-pedagogica) e politica sulla scuola riguarda questo punto. Quali dei tanti valori e modelli di vita presenti in società la scuola deve trasmettere? E chi ha il diritto di stabilirlo?
Si potrebbe dire che ognuno ha il diritto di educare secondo il proprio personale modello di individuo e la propria personale interpretazione della democrazia. Ma in questo c’è un movimento che appare discutibile: l’educatore si fa avanti e occupa tutta la scena. Ne ha il diritto?
La questione del diritto di educare pare insolita. A porla è stato, mi pare, il solo Lev Tolstoj. Noi riteniamo di avere non solo il diritto, ma anche il dovere di educare; ma se l’educazione, secondo la definizione che ne dà Tolstoj, è la “tendenza di una persona a plasmarne un’altra a sua immagine” , allora il problema si pone. Se accettiamo questa definizione di educazione sembra inevitabile la conclusione del grande scrittore russo: “L’educazione è l’aspirazione al dispotismo morale elevata a principio”. In alcuni casi ciò è assolutamente chiaro. Ha fatto molto scalpore il memoir di Tara Westover, una donna cui un padre oppressivo, seguace di una setta millenarista, ha impedito di frequentare la scuola, per meglio educarla ai suoi principi religiosi, per lo più deliranti. La sua storia è un doloroso atto di accusa verso i genitori e l’educazione che si sono ritenuti in diritto di imporle. Ma, si dirà, il problema in quel caso è che i genitori avevano principi estremi, che hanno allontanato la figlia dal resto della società. Che dire invece quando è la società stessa che, consapevole di avere alcuni problemi, decide di affrontarli attraverso l’educazione? Stiamo vivendo una gravissima crisi ecologica. Non dovremmo educare le nuove generazioni al rispetto dell’ambiente? E non dovremmo preoccuparci di formarli come cittadini attivi e responsabili, capaci di vivere in una vera democrazia? Una società non ha il diritto di educare le nuove generazioni secondo un modello umano desiderabile?
Prima di rispondere consideriamo ancora una questione.

Prima vennero a prendere i Testimoni di Geova, ma non importò a nessuno perché i Testimoni di Geova stanno sul cazzo a tutti.

Questo mio articolo è del 2017.

attraversamenti.info/i-testimo

@mcp io dirigo una rivista di fascia A. Scopus si è rifiutata di indicizzarla.

@thegib @Utoria@mastodon.uno @concavi @tizianacampa@mastodon.uno in effetti.

@thegib @Utoria@mastodon.uno @concavi @tizianacampa@mastodon.uno la carta però è un po’ dura. Allo scopo può servire meglio l’altro mio libro sul buddhismo.

@thegib @Utoria@mastodon.uno @concavi @tizianacampa@mastodon.uno buona lettura!

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