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Su PresaDiretta:
con la puntata di ieri sera la scelta della narrazione è stata verso la superficialità e il sensazionalismo, rinunciando a comunicare la complessità di un tema come quello riguardante l'uso dei social media.
Questa scelta era evidente fin dal primo servizio che ha trattato con toni ingenui ed entusiastici il metaverso e le sue promesse di mercato. Ma riguardava gli adulti - che pare stiano tutti bene - e una promessa di inoltrarsi in mondi nuovi, benché già noti ai più nei diversi aspetti.
Per poi sprofondare nei servizi successivi in quelli che sono i meccanismi ormai collaudati per ingaggiare il pubblico e alimentare il panico morale sul binomio tecnologie e adolescenti.
Sono gli stessi meccanismi che hanno accompagnato la diffusione dei fumetti e dei videogiochi e che si rivelano fruttuosi per l'intrattenimento ma infondati nelle conclusioni al cospetto del tempo.
Difatti, la narrazione di ieri ha mostrato:
- una selezione del tutto parziale e criticabile di risultati scientifici
- la mancanza di una lettura critica di tali risultati parziali, tutti basati su associazioni statistiche tra variabili, senza quindi nessi di causa (dispositivi) - effetto (declino delle nuove generazioni)
- il tono apocalittico del racconto che indugiava su espressioni come "mostruoso", "pazzesco", "ha ucciso", "terribile"
- il propagarsi di questi toni nelle parti riguardanti la salute mentale, contravvenendo alle raccomandazioni di una comunicazione non scandalistica, queste sì dimostrate rilevanti per la salute pubblica
- la trattazione suggestiva dei disturbi psicopatologici come determinati da un'unica causa, cioè i social media e i dispositivi digitali, senza cura della, rappresentatività dei dati esposti
- la confusione tra allarmi e notizie, tra ipotesi e conclusioni, tra aneddoti e prove scientifiche replicate, tra controllo e educazione, tra emotività e dati di realtà.
Questo tipo di narrazione allontana dalla comprensione di strumenti che hanno permesso di mantenere e sviluppare le connessioni sociali durante la pandemia e che danno voce a situazioni di disagio e a manifestazioni di supporto.
L'uso problematico dei social media riguarda un ristretto gruppo di persone, per le quali vanno approfonditi tutti i possibili fattori di rischio (individuali, familiari, sociali, scolastici), se si vuole realmente individuarli e attivare con scienza e coscienza i percorsi terapeutici basati sulle evidenze scientifiche e cliniche attuali.
Le modalità di studio dell'uso dei social media si sono evolute da autovalutazioni a misure oggettive relativamente, ad es., al tempo di esposizione, diventando affidabili.
Il contributo della ricerca più rigorosa negli ultimi anni sta contribuendo a restituire la complessità di fenomeni così rilevanti per la società, a dare consapevolezza, indirizzi e strumenti.
Queste conoscenze permettono di incidere sulle aziende sviluppatrici, per rendere gli strumenti più sicuri.
Ci vorrebbe l'alleanza tra chi fa ricerca e chi fa informazione proprio per avere un impatto più incisivo sulle aziende.
La semplificazione del tema, va in tutt'altra direzione, fermandosi ad aumentare clamore e clic, paradossalmente proprio su questi "mostruosi" social media.
Quello che si sedimenta nel pubblico non è consapevolezza ma credenze, facilitate dal ricorso continuativo a quella stessa comunicazione emotiva biasimata nei vari servizi di eri sera.

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