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Ieri il Tribunale di Bari ha condannato cinque agenti della polizia penitenziaria per tortura nei confronti di una persona detenuta con problemi psichiatrici che fu brutalmente picchiata dopo aver dato fuoco a un materasso nella sua cella del carcere di Bari la notte del 27 aprile 2022.
Insieme ai cinque sono stati condannati altri sei imputati per i reati - contestati a vario titolo - di falso in atto pubblico, rifiuto d’atti d’ufficio, abuso d’ufficio e omessa denuncia.
Altre due persone erano state condannate in rito abbreviato, un agente penitenziario e un medico in servizio presso il carcere.

Una notizia che arriva ad una manciata giorni di distanza dall’indagine in corso a Foggia, dove 10 agenti penitenziari sono accusati di tortura per le violenze contro due persone detenute nel carcere cittadino.

Grazie all’attuale legge, approvata nel 2017 dopo un’attesa di quasi trent’anni, la tortura può essere perseguita e definita come tale nei tribunali italiani. Il caso di Bari non è purtroppo isolato, come dimostrano i tanti processi e procedimenti avviati, ma la novità significativa sta appunto nella possibilità di perseguire il reato. In molti casi grazie anche alle denunce degli stessi operatori, così come accaduto a Bari, dove a denunciare l’accaduto furono la direttrice del carcere e la comandante della polizia penitenziaria.

La legge sulla tortura è anche uno strumento di difesa e tutela dei tanti operatori che svolgono il loro ruolo nel rispetto della legge e della dignità della persona. Operatori che andrebbero sostenuti e gratificati per il ruolo complicato e importante che svolgono quotidianamente.

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