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Ho chiuso ormai definitivamente il mio profilo Facebook. Curiosamente, è stato Facebook stesso ad aiutarmi, con un ban folle di un mese, che mi ha abituato a farne a meno.

Vi sono entrato due giorni fa per recuperare alcune cose. E dopo qualche mese di Mastodon, l'impressione è quella di una gran confusione: pubblicità, video indesiderati, paccottiglia ovunque.

Sto lavorando a questa nuova edizione del capolavoro filosofico-religioso (e politico) di Tolstoj. Con un saggio introduttivo nel quale leggo il suo pensiero anche alla luce della guerra in Ucraina.

In Italia succederebbero cose simili se si pensasse di dover improntare la didattica ai diktat delle famiglie.

mastodon.lawprofs.org/@marklem

Entrando in aula, i miei docenti universitari si presentavano - e certo si sentivano: con poche eccezioni - come divinità, veri numi della cultura. Oggi si fatica davvero a trovare in commercio uno qualsiasi dei loro libri.

Mi faceva notare ieri un amico che, mentre in tutti gli sport a trent'anni sei vecchio, nel Tai Chi i grandi campioni hanno in media settant'anni.

Terza notte di fila senza quasi dormire. Kai ho pure i consigli di classe. I sound my barbaric kitemmurt over the roofs of the world. (Sed tovim dodeka.)

Ieri in prima abbiamo visto "The social dilemma". Alla fine ho chiesto agli studenti di verificare sui loro smartphone il tempo di uso. Le ore minime su Tik Tok sono sedici. Una studentessa passa sedici ore al giorno al cellulare.

Abbiamo un sottosegretario alla cultura che dichiara in televisione che le ventenni sono tutte troie. E no, nessuno chiederà per questo le sue dimissioni.

Rispondo a un post (noblogo.org/transit/dieci-righ) di @alda7069, ma anche a @onairaM e @concavi, a proposito delle azioni di Ultima Generazione. Sarò un po’ lungo: è anche per questo che sono su Qoto.

Prima questione: le manifestazioni

Scrive @alda7069 che resta ineludibile portare l’azione “sulle strade, tra la gente”.
La nostra generazione ha dato a vita a quella che con ogni probabilità è stata la più grande manifestazione della storia. Il 15 febbraio 2003 110 milioni di persone sono scese in piazza in tutto il mondo per fermare la guerra in Iraq. Solo a Roma erano in piazza tre milioni di persone. La manifestazione più imponente della storia ha fallito. Sappiamo tutti come è andata.
Ne ho tratto l’insegnamento che il cambiamento non passa dalle piazze e dalle strade. Non necessariamente, almeno.

Seconda questione: l’efficacia

Scrive ancora @alda7069: “Quindi, scendere personalmente sulle strade, compiere gesti anche fastidiosi agli occhi dei più resta la maniera per cui si può anche entrare sui Social con una forza che, spesso, slogan o lunghe discussioni scritte non hanno e che portano a meno attenzione.”

Qui l’enfasi è sul fatto che gesti come quelli di Firenze non hanno causato danni reali, al di là dei cinquemila litri di acqua che sono stati sprecati per ripulire, e che poco si conciliano con qualsiasi impegno ecologico.

La nostra società dà una grande importanza all’arte. Si può discutere del fatto che molti degli indignati non hanno mai messo piede in un museo, ma che l’arte sia un valore condiviso mi sembra indiscutibile. Ora, aggredire una cosa che ha valore per molti, sia pure simbolicamente, sortisce l’effetto contrario. Non aiuti nessuno a riflettere aggredendo un’opera d’arte. Se l’obiettivo è ottenere visibilità a tutti i costi, allora va senz’altro bene. Se l’obiettivo è ottenere simpatia verso la causa, allora lo stai facendo male.

Scriveva Aldo Capitini ne Le tecniche della nonviolenza: “Il gruppo nonviolento, pur addestrandosi ad una campagna di lotta, compie all’intorno un servizio sociale rendendosi utile. E questo serve anzitutto a creare un ambiente di risonanza, un alone si simpatia, di consenso e anche di collaborazione, quando si alza l’appello per una lotta” (in Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, p. 305).

In questo caso invece, attraverso azioni simili, si crea per così dire un “alone di antipatia”. La preoccupazione sembra quella di ottenere visibilità a tutti i costi, piuttosto che suscitare simpatia per la causa.

Terza questione: Le alternative

Non ricordo chi mi chiedeva quali alternative proporrei. Il libro che ho citato di Capitini, benché datato, offre una panoramica ancora in gran parte valida delle tecniche nonviolente. La più valida, come mostra anche in questi giorni il caso Cospito, e come ha mostrato in passato la vicenda di Danilo Dolci, resta il digiuno.

Ma c’è un altro insegnamento che viene da Capitini, più profondo. Dopo la fine della guerra, mentre tutti si buttavano nei partiti, il padre della nonviolenza italiana creò i Centri di Orientamento Sociale. Luoghi in cui la gente si riuniva per discutere, confrontarsi e formarsi. Mi pare che la nonviolenza di Ultima Generazione si sia persa per strada questo aspetto fondamentale: il cambiamento nasce da persone che dialogano. I gesti eclatanti, se compresi, creano followers, se incompresi creano haters. Una autentica causa nonviolenta non ha bisogno né dei primi né dei secondi.

Mentre i novax gongolano per l'infarto a Jerry Calà, a Siena il comune di destra dà il patrocinio a un loro convegno.

Fatico a capire chi difende l'azione di Ultima Generazione. La loro causa è giusta, certo. Ma ci sono decine di cause giuste. E se i militanti di ogni causa giusta facessero le stesse cose di Ultima Generazione, i nostri monumenti sarebbero imbrattati un giorno sì e l'altro pure.

Michael Alessandrini ha ucciso l'amico Pierpaolo Panzieri. Ha affermato di averlo fatto per "obbedire alla voce di Jahvè che colpisce implacabilmente chi ha peccato". Sarà processato in un'aula di tribunale nella quale sarà esposto in bella vista un crocifisso. Ossia il simbolo di una religione che ammette che Dio possa effettivamente chiedere di uccidere perfino il proprio figlio.

Leggendo Linea intera, linea spezzata di Milo De Angelis (Mondadori, 2021) mi ha colpito questa Filastrocca del nome perduto:

Nel buio di un mattino te ne andrai anche tu
e scorderai le tue mani le tue frasi le tue
estati di poesia e allora te ne andrai
nel buio di un mattino e non dirai più
il tuo nome il tuo respiro il tuo gemito non
studierai più la metrica del tuo dolore e tra poco
ce ne andremo anche noi nasconderemo
i nostri volti i nostri versi i nostri vani
istanti di poesia affonderemo
nella lingua morta affonderemo nell’acqua
passata affonderemo in un punto
qualsiasi dello Scrivia e non diremo il nostro
nome il nostro respiro scritto in sillabe,
non diremo, non
diremo.

Leggendola, ho avuto l’impressione di aver già sentito qualcosa di simile, sia per il contenuto che per la forma. Ecco:

Ce ne andremo, e il cielo sarà nero
ce ne andremo una notte di dicembre
e il cielo sarà nero ce ne andremo attraversando il silenzio a piedi nudi
ce ne andremo correndo volando
respiro della terra ce ne andremo
deporremo le ali le ossa il sangue
il trono dell’io il conforto degli angeli
ce ne andremo nudi e senza nome
come siamo venuti ce ne andremo
senza nessun guadagno senza nessuna perdita
ce ne andremo e sarà la cosa più naturale
sarà acqua che scorre nel cielo nero
la terra che respira che respira
ce ne andremo dimentichi
delle infinite vie di Montilengo
ce ne andremo puri come le lumache della terra
prenderemo la strada ad est e ce ne andremo
mentre la buona gente sogna la felicità di domani
in braccio al dolore di ieri ce ne andremo senza aver mai vissuto senza colpa
– questa faccenda più non ci riguarda, mi dirai
non ci ha mai riguardato, ti dirò –
ce ne andremo volando camminando
scivolando sciogliendoci nel cielo
nel cielo steso sopra Montilengo
nel cielo nero di dicembre ce ne andremo.

È una mia poesia da Rima rerum (2018). Quando non ero ancora guarito.

Ho ordinato del tè verde.
Mi sono ustionato la lingua.
Incompetenti.

Il fascismo arriverà in America attraverso le chiese evangeliche e battiste, così come è arrivato in Russia attraverso la chiesa ortodossa.

lgbtqnation.com/2023/03/church

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