𝗦𝗮𝗻𝘁𝗮 𝗥𝗼𝘀𝗮𝗹𝗶𝗮, 𝗣𝗮𝘁𝗿𝗼𝗻𝗮 𝗱𝗶 𝗣𝗮𝗹𝗲𝗿𝗺𝗼, 𝗱𝗶𝗽𝗶𝗻𝘁𝗮 𝗱𝗮𝗹 𝗽𝗶𝘁𝘁𝗼𝗿𝗲 𝗳𝗶𝗮𝗺𝗺𝗶𝗻𝗴𝗼 𝗩𝗮𝗻 𝗗𝘆𝗰𝗸
La grande pala di Santa Rosalia che intercede contro la peste, dipinta da Antoon Van Dyck mentre era in quarantena in Sicilia.
Van Dyck era arrivato a #Palermo nel 1624 su invito del vicerè spagnolo che voleva farsi ritrarre dal giovane già affermato artista di corte.
Di lì a poco la città fu colpita da una pestilenza che provocò 10 mila morti, tra cui lo stesso vicerè, pari al 10 per cento della popolazione.
L'allora 25enne pittore fiammingo guardava con orrore dal suo isolamento la chiusura del porto, gli ospedali incapaci di reggere l'afflusso degli infetti, i lamenti dei malati e dei moribondi nelle strade.
Un barlume di speranza alla città in ginocchio lo diede la scoperta, da parte di un gruppo di Francescani, di resti di ossa tra cui un cranio che l'arcivescovo Giannettino Doria attribuì a Santa Rosalia, nobile della famiglia dei Sinibaldi, vissuta nel dodicesimo secolo.
Le reliquie furono portate in processione l'anno dopo attraverso le strade, mentre i casi di contagio si abbassavano: la "Santuzza" aveva salvato la città.
Spodestando altri santi come Cristina, Oliva, Ninfa e Agata, Rosalia resta a oggi la Patrona di Palermo.
𝙄𝙡 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙚𝙡𝙡𝙤 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙕𝙞𝙨𝙖 𝙙𝙞 𝙋𝙖𝙡𝙚𝙧𝙢𝙤
Il Castello della Zisa risale al XII secolo, periodo della dominazione normanna in Sicilia.
Commissionato dal re Guglielmo I D'Altavilla per farne una sua residenza estiva, fu realizzato da architetti arabi.
L'influsso della precedente dominazione, infatti, era ancora molto forte e i normanni, affascinati dalla cultura islamica, ne seguivano lo stile.
La dimora, il cui nome deriva dall'arabo al-Aziz, che significa glorioso, magnifico, sorgeva fuori le mura di Palermo, immersa nel verde di un grande parco reale di caccia.
Splendido esempio di arte arabo-normanna, il Castello della Zisa si presenta con una forma rettangolare che si sviluppa su tre piani, e all'esterno è diviso a metà da un canale che porta acqua a diverse vasche, riproduzione di quello più antico che recava acqua alla famosa Sala della Fontana.
La facciata è contraddistinta da tre grandi fornici ed una serie di arcate cieche. Sulla volta dell'ingresso sono dipinti alcuni diavoli che si dice custodiscano il tesoro dell'imperatore.
Il piano terra è occupato dal lungo vestibolo in cui si trova la sopracitata Sala della Fontana con ai lati le scale che portano ai piani superiori.
La Sala, sulle cui pareti sono visibili i resti degli affreschi seicenteschi dei Sandoval, ha pianta quadrata sormontata da una volta a crociera ogivale, e presenta agli angoli tre grandi nicchie incorniciate da semicupole decorate da muqarnas (decorazioni ad alveare).
L'ambiente, in cui il re riceveva la corte, risulta fresco grazie alla presenza della Fontana che reca una lastra marmorea decorata a chevrons, sormontata da un pannello a mosaico su fondo oro.
Nell’arco d’ingresso alla Sala della Fontana, su una volta, sono raffigurate delle creature mitologiche che rappresentano delle divinità olimpiche tra cui Giove, Nettuno, Plutone, Giunone, Mercurio, Venere e Marte. Secondo la tradizione palermitana non si tratta di semplici divinità, ma di diavoli che custodiscono delle monete d’oro nascoste all’interno del Palazzo della Zisa.
Il tesoro fu lasciato da Azel Comel e El-Aziz, arrivati a Palermo dopo esser fuggiti per proteggere il loro amore ostacolato dal padre di lei. Sempre secondo la leggenda, i due giovani amanti fecero costruire il Castello della Zisa appena giunti in città, ma dopo aver appreso che la loro fuga era stata causa del suicidio della madre di El-Aziz, morirono a breve distanza l’uno dall’altro, non prima però di aver affidato ai diavoli la protezione del loro tesoro tramite un incantesimo. Il mito narra che chiunque cerchi di contare l’esatto numero dei diavoli non ci riesca per via del loro continuo mescolamento che impedisce di contarli.
Diverse altre leggende sono legate a questa, come quella secondo la quale il giorno dell’Annunziata (25 marzo) chi fissa per troppo tempo i diavoli della Zisa ad un certo punto li vedrà muovere la coda o storcere la bocca.
O altre secondo cui i giorni di vento intenso a Palermo sono causati dall’uscita dei diavoli dal castello che portano con sé l’aria fresca del palazzo stesso.
𝐋'𝐎𝐫𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐑𝐨𝐬𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐒𝐚𝐧 𝐃𝐨𝐦𝐞𝐧𝐢𝐜𝐨 𝐚 𝐏𝐚𝐥𝐞𝐫𝐦𝐨
E' un Oratorio situato nel centro storico di #Palermo, ubicato in Via dei Bambinai, nei pressi della Vucciria, adiacente alla maestosa Chiesa di San Domenico.
Nell'Oratorio, gli stucchi realizzati dal Maestro stuccatore palermitano 𝙂𝙞𝙖𝙘𝙤𝙢𝙤 𝙎𝙚𝙧𝙥𝙤𝙩𝙩𝙖, dovevano amalgamarsi ai dipinti esistenti e fondersi con essi visivamente e semanticamente.
I lavori in stucco venivano eseguiti dopo la preparazione di modelli in creta, lo stampo in gesso al cui interno veniva colato un miscuglio di gesso impastato con colla di pesce, polvere di marmo, calce spenta, sabbia, latte cagliato e addirittura sangue. Il risultato era un materiale particolarmente duro, il cui aspetto era molto simile al marmo. L’opera finita, bianchissima, veniva lucidata con uno straccio spalmato di cera oppure dipinto con coloranti dorati.
Nelle nicchie tra i dipinti, l'artista palermitano realizzò inoltre le statue allegoriche delle Virtù, vestite con pizzi e drappeggi secondo la moda dell'epoca, di derivazione francese.
Tra di esse spicca quella raffigurante la Mansuetudine, che tiene in mano una colomba verso la quale tende la mano un putto vestito da fraticello. Inoltre sono rappresentate: nel presbiterio la Divina Provvidenza e la Divina Grazia. Lungo le pareti laterali le virtù: 𝐂𝐚𝐫𝐢𝐭𝐚', 𝐔𝐦𝐢𝐥𝐭𝐚', 𝐏𝐚𝐜𝐞, 𝐏𝐮𝐫𝐞𝐳𝐳𝐚, 𝐌𝐚𝐧𝐬𝐮𝐞𝐭𝐮𝐝𝐢𝐧𝐞, 𝐏𝐚𝐳𝐢𝐞𝐧𝐳𝐚, 𝐅𝐨𝐫𝐭𝐮𝐧𝐚, 𝐎𝐛𝐛𝐞𝐝𝐢𝐞𝐧𝐳𝐚
L'enorme dipinto del pittore fiammingo 𝘼𝙣𝙩𝙤𝙣 𝙑𝙖𝙣 𝘿𝙮𝙘𝙠 raffigurante la Madonna del Rosario con i Santi domenicani e le Sante Patrone di Palermo (Rosalia, Agata, Oliva, Cristina, Ninfa) si mostra imponente sulla parete d'altare.
𝗟𝗔 𝗚𝗥𝗔𝗡𝗗𝗘 𝗦𝗘𝗧𝗘 𝗗𝗜 𝗣𝗔𝗟𝗘𝗥𝗠𝗢
Sui quotidiani nazionali si legge oggi di siccità e di carenza di risorse idriche che interessano almeno un terzo dell'Italia.
A distanza di 45 anni, era il lontano 1977 ed io avevo 13 anni, ricordo la "𝗴𝗿𝗮𝗻𝗱𝗲 𝘀𝗲𝘁𝗲" di Palermo, un deficit delle risorse idriche siciliane che mise in ginocchio l'intera regione.
L'acquedotto di Palermo iniziò a razionare l'erogazione idrica, suddividendo nei vari quartieri, con turnazione a fasce orarie, quello che sarebbe dovuto essere l'approvvigionamento idrico per abitante/giorno.
Per fortuna a quel tempo vi erano dislocate in alcuni quartieri e borgate della città un sufficiente numero di fontane che, chiaramente furono prese d'assalto dai cittadini, costretti a lunghe code interminabili sotto il sole cocente di Palermo.
In alcune zone della città furono installati anche dei silos idrici dai quali le famiglie, munite di bidoni (diventati peraltro introvabili), potevano attingere prelevando l'acqua necessaria al fabbisogno giornaliero.
Fu un periodo terribile, ricordo mio padre con i bidoni in macchina, la vasca da bagno di casa sempre piena d'acqua, riempire secchi, bottiglie, recipienti, razionalizzare l'uso idrico in casa, insomma una situazione critica che ci si augura appartenga soltanto al passato.
Le foto allegate a questo post, appartengono al grande fotoreporter palermitano Gigi Petyx scomparso purtroppo qualche giorno fa.
Collaborò con il quotidiano "L'ORA" ed il Giornale di Sicilia e, con i suoi scatti, ha raccontato la storia di questa città e dei palermitani tutti.
Ciao Gigi ❤️
𝗟𝗮 𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲𝗻𝗱𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘀𝘂𝗼𝗿𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗧𝗲𝗮𝘁𝗿𝗼 𝗠𝗮𝘀𝘀𝗶𝗺𝗼 𝗱𝗶 𝗣𝗮𝗹𝗲𝗿𝗺𝗼
Tra le tante leggende palermitane, non mancano le storie legate a fatti misteriosi, intriganti e suggestivi, come quella del 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 della Suora del Teatro Massimo di Palermo.
Pima della costruzione del Teatro furono demolite alcune strutture preesistenti tra cui la Chiesa di San Francesco delle Stimate, compreso il monastero ed il cimitero annessi, consistenti nella Chiesa di San Giuliano e la Chiesa di Sant’Agata che all’interno dei monasteri custodivano anche le tombe di suore, preti e di altri defunti.
Secondo la leggenda palermitana, durante il corso dei lavori di demolizione, pare sia stata profanata la tomba di una suora e da allora la credenza popolare vuole che il suo 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 infesti il Teatro.
«Mentre scavavano i muratura truvaru 'sta cascia e lu spiddu si svegliò. Sta monaca 'nqueta a tutti picchì idda nun vuleva stu teatro o postu du conventu. ("Mentre scavavano i muratori trovarono questa cassa e lo spirito si svegliò. Questa monaca disturba tutti perché non voleva questo Teatro al posto del convento")».
Si racconta che in molti hanno visto l’ombra della Suora aggirarsi dietro le quinte e nei sotterranei e, stando alle credenze e alle dicerie della gente, Ella lanci delle vere e proprie maledizioni.
E si attribuisce proprio alle maledizioni del 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 il fatto che furono necessari ben 23 anni per la costruzione del Teatro e che per ulteriori 23 anni rimase chiuso in stato di abbandono.
Tra i tanti dispetti che si narrano, si sostiene che sia proprio il fantasma della Suora che si diverte a far inciampare le persone che non credono alla leggenda, nel primo gradino della rampe di scale di accesso al Teatro.
Pertanto se venite a Palermo e visitate il Teatro Massimo, attenti al fantasma della Suora 😂
𝐏𝐀𝐋𝐄𝐑𝐌𝐎, 𝐋𝐀 𝐂𝐇𝐈𝐄𝐒𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐆𝐀𝐍𝐂𝐈𝐀 𝐄 𝐋𝐀 𝐁𝐔𝐂𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐀𝐋𝐕𝐄𝐙𝐙𝐀
All’interno del quartiere arabo della Kalsa, la Chiesa di Santa Maria degli Angeli, meglio conosciuta col nome di “Gancia”, ossia ospizio per malati e forestieri, è un complesso architettonico risalente al 1490 ed edificata dai frati francescani.
Un pò prima di entrare nella Chiesa, sul muro esterno vi è una curiosa lastra di marmo scavata affiancata da una lapide che ne commemora l’evento, essa è la "𝐁𝐮𝐜𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐒𝐚𝐥𝐯𝐞𝐳𝐳𝐚".
Nell'Aprile del 1860 gli antiborbonici insorgono a #Palermo contro il Re napoletano. La sommossa, scoppiata a pochi passi dalla Chiesa della Gancia in quel che un tempo veniva definito il quartiere degli “scopari” (famoso per le vivacissime zuffe tra donne), viene soffocata nel sangue. Due dei capi rivolta scampati al massacro, per sfuggire alla cattura da parte dei gendarmi borbonici, si rifugiano nella cripta della chiesa, tra le sepolture dei frati del convento.
Dopo cinque giorni senza né cibo né acqua i due insorti, attraverso una breccia sul muro del convento, riescono ad attirare l’attenzione di una donna che d’accordo con alcune comari mette in scena una grande rissa, distogliendo in questo modo l’attenzione dei gendarmi. In un attimo la stradina si trasforma in teatro di urla e spinte e i due fuggiaschi, approfittando di questo sotterfugio, allargano la breccia nel muro riuscendo a scappare indisturbati. Da quel momento la breccia nel muro della Gancia prese il nome di “𝐁𝐔𝐂𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐀𝐋𝐕𝐄𝐙𝐙𝐀“.
𝐖 𝐏𝐚𝐥𝐞𝐫𝐦𝐨 𝐞 𝐒𝐚𝐧𝐭𝐚 𝐑𝐨𝐬𝐚𝐥𝐢𝐚
Fra meno di un mese, il culto e la devozione dei Palermitani in onore di S. Rosalia, Patrona della Città di Palermo, è quello del Festino “U Fistinu”, sfarzosa festa in memoria della miracolosa processione del 1625 con la quale, attraverso le reliquie della Santuzza, la Città fu salvata dalla peste.
La festa inizia il 10 di luglio e si protrae per 5 giorni fino al 15 luglio giorno in cui si rivive la processione dell'Urna a reliquiario in cui è custodito il corpo mortale di S. Rosalia per le vie del Centro storico di Palermo.
La grande festa, che richiama una grande folla di spettatori, inizia (negli ultimi anni) con una rievocazione storica della vita e del miracolo di S. Rosalia nella Cattedrale di Palermo.
Il clou del Festino avviene la sera del 14 luglio, dove un corteo di Palermitani accompagna il Carro Trionfale di S. Rosalia fino alla Marina, attraversando tutto il Cassaro e passando per Porta Felice.
Quando il Carro Trionfale arriva alla Marina, addobbata a festa, i Palermitani assistono ad uno spettacolo di botti, bagliori, luci e colori, per fuochi d'artificio sparati in onore della Santuzza.
In S. Rosalia e nella sua festa i Palermitani trovano una ragione ed una occasione di identità collettiva ben sintetizzato nel grido di “Viva Palermo e S. Rosalia”.
Palermo "Stupor Mundi", città dai mille volti, segnata da secoli di storia e dominazioni che hanno lasciato traccia sia a livello culturale che architettonico. Nel capoluogo siciliano le testimonianze del suo passato, segnato dall’avvento di fenici, greci, romani, arabi e normanni rivivono tutt’ora grazie alla maestosità del suo patrimonio artistico inserito in un contesto brulicante di vita, dialetti e tradizioni popolari.