In una nota del Quaderno I (XVI) la scuola attiva è ridotta alla “collaborazione amichevole tra maestro ed alunno”; Gramsci ne attacca il principio fondante rousseauiano, quello della spontaneità. Essa è una involuzione che consiste nell’immaginare il cervello del bambino come un gomitolo che il maestro aiuta a dipanare. Non è così:

> In realtà ogni generazione educa la nuova generazione, cioè la forma, e l’educazione è una lotta contro gli istinti legati alle funzioni biologiche elementari, una lotta contro la natura, per dominarla e creare l’uomo “attuale” alla sua epoca.

Si tratta in realtà non solo, e non tanto, di una lotta contro la natura, ma anche, come abbiamo visto, di una lotta contro la cultura, quando si tratta della cultura di classi sociali come quella dei contadini, considerate arretrate. Gramsci rivendica il diritto di educare, messo in discussione da Tolstoj sulla scia della involuzione di Rousseau; e lo rivendica nel modo più forte. Le nuove generazioni devono essere educare in modo tale da adeguare un ideale umano pensato dalla generazione adulta. L’educazione è creazione dell’ “uomo attuale”. Ma cos’è l’uomo attuale? Per Gramsci si tratta di una sorta di nuova incarnazione di Leonardo da Vinci, di una sintesi tra l’ingegnere americano, il filosofo tedesco e il politico francese. Si può discutere di quanto sia valido quell’ideale, ma certo, come qualsiasi ideale umano, non è universale. Qualcuno, e non necessariamente da una posizione politicamente regressiva, potrebbe ad esempio rivendicare l’importanza del gioco e della creatività, ad aggiungere l’artista, che in fondo è il lato più significativo dello stesso Leonardo; qualche altro potrebbe sostenere l’importanza della contemplazione o delle tecnologie del sé.

È chiaro che la questione dell’“uomo attuale” non può essere risolta sul piano teorico e ideologico, perché non esiste affatto una generazione adulta. Esiste un mondo adulto caratterizzato da una molteplicità di visioni del mondo e della vita, spesso inconciliabili tra di loro. Affermare il diritto di formare le nuove generazioni secondo un modello di uomo nuovo vuol dire riconoscere la legittimità di quella che è una pratica violenta: imporre a tutta la società un ideale umano che appartiene a una parte – qualsiasi ideale umano appartiene sempre solo a una parte – in virtù della forza: chi ha il potere di gestire l’educazione pubblica conquista anche il diritto di formare la nuova generazione secondo il proprio ideale umano. È esattamente quello che ha fatto il fascismo, usando le scuole e la propaganda per la creazione dell’uomo e della donna fascista.

È evidente che una educazione democratica è incompatibile con la pretesa di formare secondo un ideale di “uomo attuale”, a meno che questi non abbia come caratteristica fondamentale proprio il riconoscimento della differenza e della pluralità di visioni del mondo e la disponibilità a ripensare il proprio modo di essere umano nel confronto con altri modi di essere umani.

Agostino era operaio presso una piccola azienda che si occupava di idrocarburi. Il suo padrone - così lo chiamava, così era - era impegnato in politica, per metterla su un piano nobile. Consigliere comunale del Movimento Sociale. Ebbe un brutto quarto d'ora quando a qualcuno venne la bizzarra idea di indagarlo per l'assassinio del direttore dell'Ufficio del Registro, Franco Marcone. Fu scagionato.

Benché il suo padrone fosse benevolo, di soldi non ne arrivano troppi. L'operaio Agostino viveva con la moglie e i tre figli in un basso di trentotto metri quadri in via Maria Grazia Barone. Non ebbe mai la casa popolare, e questa fu forse l'unica fortuna della sua vita.

Al momento di andare in pensione, l'operaio Agostino ebbe l'impressione che il suo benevolo padrone gli avesse dato meno di quello che gli spettava, di liquidazione. Gli fece dunque causa. La perse. Sì impegnò poi in una causa con l'avvocato che aveva perso la causa. E perse anche quella causa. Vincere le cause non era nelle sue corde. Pare che sia un difetto degli operai.

Si è goduto la pensione per qualche anno, l'operaio Agostino, girellando per la città su una vecchia bicicletta Bianchi, facendo il solitario con le carte - spesso imbrogliava - guardando Rete 4 e spaventandosi di tutto. Poi ha avuto un infarto. Poi un tumore alla parotide. Poi un tumore ai polmoni. Poi un tumore al fegato.

Per il suo diciottesimo compleanno l'operaio Agostino regalò centomila lire al secondo figlio. Prendi quello che vuoi. Il figlio comprò un cofanetto con i CD dei concerti di Mozart. E con quella musica in cuffia le pareti del basso di via Maria Grazia Barone diventavano di cristallo, e diventava di cristallo via Maria Grazia Barone, diventava di cristallo Foggia, diventava di cristallo la fottuta Italia corrotta e mafiosa: e c'era un fuori puro, e vasto: e buono. Di questo il secondo figlio fu grato all'operaio Agostino, anche se per il resto non si intendevano troppo.

L'operaio Agostino è morto ieri. Era mio padre.

Oggi è l'anniversario della morte di Simone Weil. Per il progetto libertario endehors ho tradotto il suo "Per la soppressione dei partiti politici". Potete scaricarlo gratis al seguente link.

noblogo.org/endehors/weilparti

Da casa per raggiungere il monastero zen di Scaramuccia (132 km) con i mezzi pubblici occorrono 23 ore e otto minuti. Ma la priorità del Paese è il ponte sullo Stretto.

E ormai sempre più spesso il contadino
carico d'anni sospira scuotendo
1165 il capo, ché la sua grande fatica
è caduta nel nulla e se confronta
i tempi attuali con quelli passati
spesso dice felice e fortunato
suo padre. E così è triste chi coltiva
una vigna ormai vecchia ed avvizzita
e maledice il corso delle cose
e impreca contro questa nostra età
1170 brontolando che gli uomini d’un tempo,
colmi di devozione trascorrevano
un'esistenza molto più piacevole
in angusti confini, perché poca
era la terra assegnata a ciascuno.
E non pensa che tutto, un po’ alla volta,
svanisce e va in rovina, logorato
dall’inesausto scorrere del tempo.

E' disponibile online la mia traduzione in endecasillabi del primo e del secondo libro del "De Rerum Natura" di Lucrezio. La licenza è, al momento, CC BY-NC-ND.

lucrezio.netlify.app

Il testo che segue potrebbe offendere la vostra sensibilità. Ma sarebbe opportuno che la nostra sensibilità di italiani venisse offesa più spesso da testi simili. (Il libro di Verna è bellissimo.)

«Qui ci sono dei bambini, vieni a darmi una mano», gridò una voce alle sue spalle. Si girò, e trovò Vetro. Teneva fra le braccia quattro negretti piccoli come dei cagnini, che scalciavano e urlavano. Si avvicinò di corsa. I bambini erano fuscelli, Vetro li teneva in braccio senza sapere come domarli.
«Chi sono?»
Vetro indicò con il mento una baracca in fiamme. «Sono scappati dalla finestra».
«Ci penso io».
Mio padre li colpí col gomito alla radice del naso, preciso, svelto, e le creature si afflosciarono come fantocci. Solo uno, il piú grande, avrà avuto sei anni, non perse i sensi ma continuò a lamentarsi piano, con il sangue che gli sgorgava giú dal naso.
«Bene, – annuí Vetro, – cosí».
Scagliò i quattro bambini nel rogo, uno dopo l’altro. Quello che ancora era sveglio agitò le gambe mentre volava verso l’incendio, come se stesse correndo nell’aria.

Nicoletta Verna, "I giorni di Vetro", Einaudi.

Qualsiasi considerazione su quello che un padre e una madre dicono al figlio in carcere è disgustoso sciacallaggio. Ed è scandaloso che dei genitori vengano intercettati in carcere durante il colloquio con il figlio e che l'intercettazione venga data in pasto ai giornali.
Lo stato di diritto in Italia è sempre più in pericolo.

# Scuola e violenza culturale
Ho scritto questo articolo, su richiesta, per una rivista che si occupa di educazione. Ho chiesto di non pubblicarlo perché il numero della rivista, dedicato alla pace, sarebbe stato legato alla terza marcia mondiale per la pace e la non violenza. Marcia che non condivido, come non condivido le posizioni della maggior parte dell’area della cosiddetta nonviolenza, per ragioni che ho ampiamente illustrato su questo blog.
1. Un bambino si avvicina a un pozzo. Gira intorno, poi vi sale su. E rischia di cadervi dentro. È la scena immaginata dal filosofo cinese Mencio per uno degli esperimenti mentali più efficaci della storia della filosofia. Nessuno osservando la scena, affermava Mencio, resterebbe impassibile; chiunque proverebbe una forte angoscia, e tale angoscia sarebbe assolutamente indipendente da qualsiasi altra circostanza, come l’essere osservato da altri. Agli italiani della mia generazione questo esperimento mentale richiama immediatamente alla mente la tragedia di Alfredino, il bambino caduto nel pozzo a Vermicino nel 1981. L’intero Paese guardò per diversi giorni con indicibile angoscia quella scena, fino al terribile esito finale. Verrebbe dunque da fare ragione a Mencio. E condividere la sua conclusione: “Tutti gli uomini hanno un cuore-mente (心) che non sopporta di vedere le sofferenze degli altri” (Mencio, Gong Sun Chou I, 6).
Sappiamo purtroppo che le cose non stanno così. O meglio: non stanno solo così. Può succedere che qualcuno osservi la scena senza restare scosso. Ma può anche succedere che qualcuno getti un bambino nel pozzo. Anzi, può succedere che più persone gettino uno o più bambini nel pozzo. E che altre persone – milioni di altre persone – osservino la scena approvandola. O perfino festeggiando per la morte di quei bambini.
Mentre scrivo le vittime del genocidio in atto sulla popolazione palestinese della striscia di Gaza sono più di trentacinquemila. Migliaia sono i bambini. Ma scriverlo non rende l’idea. Bisognerebbe chiamarli per nome uno ad uno, uno dopo l’altro, e arrivare a dieci, poi a cento, poi a mille, duemila, tremila. E sentire tutto lo strazio di queste migliaia di vite innocenti spezzate.
Sappiamo, sentiamo tutti che Mencio ha ragione. Sentiamo di avere un cuore sensibile al dolore di qualunque altro essere umano. Perché allora migliaia di bambini finiscono nel pozzo? La risposta è in un altro filosofo cinese: Mozi. Che ha fondato una scuola filosofica che era anche una squadra di carpentieri specializzati nella costruzione di fortificazioni per le città assediate. Era il Periodo degli Stati Combattenti e il lavoro certo non mancava. Da cosa nasce la violenza? Perché uno Stato fa guerra a un altro Stato? Perché i forti opprimono i deboli? Per l’odio, certo. Ma Mozi fa un passo oltre. Da dove nasce l’odio? Da una visione errata delle cose. Odiamo perché abbiamo una percezione del mondo che segna confini tra noi e loro. Perché siamo parziali e non universali. E dunque per vincere l’odio e la violenza che da esso scaturisce dobbiamo cambiare la nostra visione del mondo: “Se ognuno considerasse le città degli altri come la propria, chi si impadronirebbe delle città degli altri? Gli altri sarebbero considerati come sé stessi. Se ognuno considerasse le case degli altri come le proprie, chi disturberebbe le case degli altri? Gli altri sarebbero considerati come sé stessi” (Mozi, 16.2).
2. Non siamo dunque naturalmente violenti. Diventiamo violenti a causa di una visione distorta della realtà. Detto altrimenti, le cause della violenza diretta – uccidere, ferire, perseguitare qualcuno – o strutturale – sottomettere, sfruttare – sono culturali. La violenza culturale fonda e giustifica tanto la violenza diretta quanto la violenza strutturale. Se fossimo in pace con noi stessi riusciremmo ad avere con gli altri relazioni non conflittuali. E se avessimo tutti relazioni non conflittuali, avremmo la pace ovunque.
Si tratta di un’affermazione perfettamente logica. Non sono sicuro però che sia un obiettivo a portata di mano. Non sono sicuro che le persone possano essere in pace con sé stesse e con gli altri, ad esempio, senza eliminare le frustrazioni che vengono dalla disuguaglianza economica. La miseria causa sofferenza psicologica. Se potessimo insegnare alle persone come restare serene pur essendo poverissime – se riuscissimo a convertirle allo Stoicismo o qualcosa del genere – potremmo conciliare pace interiore e disuguaglianza sociale. Ma sarebbe giusto? Mi sembra che un certo grado di infelicità e conflittualità personale e interpersonale sia ineliminabile. Non riesco a immaginarmi una società priva di conflitti, o in cui ogni conflitto sia risolto sempre in modi civilissimi, se non come una società radicalmente falsa. E che faccia esplodere altrove l’aggressività costantemente repressa.
È importante tenere distinto questo piano quotidiano della violenza da quello collettivo. È importante aiutare le persone a conoscere i modi, gli strumenti, le tecnologie – quelle che Foucault chiama tecnologie del sé – per ottenere la pace interiore e anche i metodi per la soluzione nonviolenta dei conflitti interpersonali. Ed è importante che lo faccia anche la scuola, ad esempio introducendo in ogni ordine e tipologia di scuola la pratica della meditazione. Ma soprattutto è importante e urgente agire sui meccanismi che portano alle esplosioni di violenza collettive: alle guerre e ai massacri. E per farlo bisogna agire a livello culturale.
3. Un compito urgente è dunque quello di analizzare le culture, a partire naturalmente dalla nostra, per individuare in esse quanto giustifica, sostiene, alimenta la violenza strutturale e ciò che in essa spinge alla violenza diretta, fino al massacro e al genicidio. Un’analisi che dev’essere senza sconti e senza riguardi, volta a evidenziare i diversi dispositivi di disumanizzazione che spingono interi gruppi di esseri umani al di fuori della sfera dell’umano, rendendone dunque la vita massacrabile. Nella percezione comune la scuola è il luogo in cui si trasmette la cultura. Nessuno chiede a studenti e docenti di produrre cultura. Il docente diventa un intellettuale, un ricercatore, un produttore di cultura solo all’Università. Ai livelli inferiori dovrà limitarsi a trasmettere una cultura che ha due caratteristiche principali: è distinta in discipline ed è presentata seguendo un canone preciso.
Entrambe le operazioni sono politiche. È un’operazione politica individuare le discipline che sono importanti distinguendole da quelle che non lo sono, attribuendo alle prime un numero di ore maggiore; è un’operazione politica escludere dalla scuola alcune discipline o attività, come tutte quelle che hanno un carattere manuale e pratico, limitate ai soli istituti professionali; ed è un’operazione politica e ideologica la scelta degli autori irrinunciabili e l’individuazione dei cosiddetti minori e di quelli che semplicemente vanno esclusi. Ma è una scelta politica anche il modo in cui si studia un autore, sia pure canonico.
Stavo per scrivere, poco fa, che l’analisi critica delle culture è l’essenza della filosofia e per questo la filosofia dovrebbe essere insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado. Si fa filosofia quando la linea di trasmissione dei modelli culturali viene sospesa e tutti i valori, le convinzioni, i rituali, i miti, le istituzioni e le pratiche sociali vengono sottoposti all’analisi e alla discussione. Fa filosofia Socrate, quando mette alla prova le autorità di Atene; fa filosofia il Buddha, quando rifiuta la gerarchia delle caste e i testi su cui si fonda; fa filosofia Mozi, quando attacca le pratiche rituali, come quelle relative al lutto, evidenziandone le conseguenze disastrose per la società intera. So bene, tuttavia, che è possibile insegnare filosofia perdendo del tutto di vista questa sua vocazione. E presentandola invece come una lunga – e noiosa – successione di concezioni più o meno bizzarre, sostenute da personaggi autorevolissimi, del tutto astratti dal loro contesto socio-economico e dalla loro classe sociale. E una simile filosofia non serve a nessuno.
4. Molta della cultura che abbiamo ricevuto è violenta. Spesso lo è in modo evidente, più spesso lo è in modo sottile. Alcune delle opere fondanti dell’Occidente esaltano la forza fisica e la guerra, altre giustificano ideologicamente la violenza strutturale, altre ancora spingono al massacro del nemico. Tra tutti i dispositivi violenti che sono presenti nella nostra tradizione culturale, particolare attenzione va riservata ai dispositivi di disumanizzazione. Nel corso della storia occidentale diversi soggetti sono stati privati di qualsiasi valore, del rispetto sempre dovuto a un essere umano, e sono diventati così liberamente massacrabili. Come è potuto succedere? Come è accaduto che gli schiavi siano diventati delle cose? Come è potuto accadere che siano diventati massacrabili gli esseri umani portatori di una differenza religiosa? Attraverso quali passaggi il cristianesimo è giunto a considerare cosa buona e giusta il massacro degli eretici? Cosa ha impedito, spesso, di vedere nelle popolazioni indigene degli esseri umani? Quali visioni culturali hanno ostacolato il riconoscimento dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani? Cosa ha ostacolato il riconoscimento dell’uguaglianza tra uomini e donne?
Queste domande, ed altre, dovrebbero essere al centro del lavoro culturale della scuola. Che non ha nulla a che fare con la cancel culture. Non si tratta di cancellare nulla, e nemmeno di giudicare il passato con i criteri etici del presente. Si tratta di prendere sul serio il nostro passato, che non è mai del tutto passato, ma sempre continua a condizionarci. E nessuno è libero se non ha piena consapevolezza dei suoi condizionamenti culturali. Non saremo liberi dalla violenza, nelle sue molteplici forme, fino a quando non riusciremo a vedere con estrema chiarezza tutti i fili che costituiscono la trama culturale della violenza occidentale, i cui ultimi esiti sono i campi di sterminio, le guerre mondiali e l’atomica.
5. La scuola, in quanto istituzione culturale, non è immune dalla violenza culturale. Il lavoro scolastico di analisi della violenza dovrà partire dunque dalla scuola stessa. Quanta violenza c’è nella tradizione scolastica e nel suo modo di pensare la trasmissione culturale, i ruoli, l’autorità e la disciplina? Cosa c’è dietro la disposizione dei banchi e della cattedra? Perché quel setting e non un altro? Cosa c’è dietro la distinzione del sapere in discipline? Quale percorso storico ha portato all’attuale retorica del liceo Classico, del sapere filologico che forma al pensiero critico, del valore superiore del sapere umanistico eccetera? Quali dinamiche economiche e di classe hanno condotto a simili convinzioni? Come e quando è accaduto che, contro tutta la migliore pedagogia moderna, il lavoro manuale sia stato escluso dalla scuola? Quali dinamiche economiche e di classe hanno condotto alla distinzione tra licei e istituti tecnici e professionali? Quali dinamiche culturali fanno sì che il Liceo delle Scienze Umane sia ancora un liceo prettamente femminile? Perché le donne vengono orientate verso alcuni tipi di studi? E perché verso alcuni tipi di studi vengono orientati gli studenti stranieri?
Il primo passo, insomma, per fare a scuola qualcosa come una educazione alla pace non può essere che una metascuola, una sospensione della routine scolastica per riflettere in modo aperto, critico, spietato sull’istituzione stessa. E poi provare a cambiare qualcosa.

attraversamenti.info/scuola-e-

Vi voglio bene, lo sapete. Abbiamo fatto tanta strada insieme, anche se io sono sempre quello che procede un po' distaccato. Però, insomma: c'ero. Credo di aver gridato perfino qualche slogan insieme a voi. Anche se detesto i cori.
E ci sono ancora. Ieri ero per la Palestina. Oggi sono per la Palestina. Domani sarò per la Palestina. Fino a quando la Palestina non sarà libera.
Ma sono anche per l'Ucraina. E qui storcete il naso. E cala l'imbarazzo tra di noi. Dite che non è proprio la stessa cosa, perché gli ucraini sono nazisti. E no, non è vero, gli ucraini non sono nazisti. E in ogni caso nemmeno quelli di Hamas li vorrei come vicini di casa.
Aggiungete che la Nato ha provocato la Russia con la faccenda dell'ingresso dell'Ucraina. È falso, perché la Nato ha rifiutato l'ingresso dell'Ucraina proprio per non irritare la Russia. E in ogni caso Hamas ha massacrato centinaia di civili israeliani, compiendo un vergognoso crimine di guerra. Perché non dite che Hamas ha provocato Israele?
Dite, ancora, che Benjamin Netanyahu è un criminale e il suo è un governo di fascisti e fondamentalisti religiosi. È vero. Ma anche Putin è un criminale e il suo è un regime fascista e fondamentalista cristiano. E dunque?
Io sono per la Palestina, come quando avevo vent'anni. Perché ho imparato abbastanza presto a stare dalla parte degli oppressi. Oggi sono per la Palestina e per l'Ucraina. E mi sento perfettamente coerente e a posto con la mia coscienza. E voi?

Ho detto che una situazione educativa è tale se aumenta la potenza di agire. È chiaro, ora, che la socializzazione non solo non si identifica con l’educazione, ma in qualche modo rappresenta un movimento opposto ad essa. Nella situazione educativa il soggetto si espande, e questa espansione non tollera limiti; la socializzazione impone invece dei limiti. Il bambino, attraverso l’autoeducazione, ha imparato a camminare. La sua potenza di agire è aumentata in modo notevole: ora può andare dove vuole, raggiungere ciò che desidera, avviarsi verso un’esistenza soggettiva. Ma i genitori dovranno porre dei limiti a questa sua potenza d’agire: il bambino dovrà comprendere che vi sono delle situazioni nelle quali non può correre, altre nelle quali dovrà, che gli piaccia o meno, star seduto. “Si mangia seduti”, e dunque non potrà muoversi liberamente per la stanza; ciò impongono le regole sociali. Così come non è possibile parlare o cantare in certe situazioni, e non si può prendere e toccare tutto.
Il bambino è costretto di continuo a limitare la sua potenza d’agire conquistata con tanta fatica. Ed è normale che protesti. Si dirà che in questo modo impara una cosa di enorme importanza educativa: che ogni potenza dev’essere contenuta in un limite, altrimenti diventa socialmente pericolosa; il movimento espansivo della possibilità incontra presto l’esistenza dell’altro, che non tollera la pratica di qualsiasi possibilità.
Occorre dire, tuttavia, che il bambino si muove in una società di adulti, le cui regole sono, appunto, regole di adulti. Si può dire che è, di fatto, il rappresentante di una classe socialmente oppressa. Nessuno ha espresso questo fatto evidente, e tuttavia così difficile da cogliere, meglio di Janusz Koczak in Il diritto del bambino al rispetto. “Quando perfino un mendicante – scrive – dispone come crede dell'elemosina ricevuta, il bambino non possiede alcuna cosa completamente; deve render conto di ogni oggetto messogli gratuitamente in mano: non può strappare né rompere né sporcare né dare né rifiutare. Deve accettare e mostrarsi soddisfatto. Tutto è previsto e stabilito prima, il luogo e l'ora, con prudenza e secondo la natura di ogni occupazione”.
Non si può negare, stando così le cose, che la socializzazione contenga in sé il rischio costante di essere violenta e di agire in senso diseducativo. Lo è tutte le volte che non tiene conto delle esigenze profonde del bambino e le sacrifica alla tranquillità sociale, spesso senza nemmeno tentare una mediazione. Bisogna osservare che l’azione socializzante dell’adulto avviene per lo più nelle situazioni sociali che hanno l’adulto per protagonista. Il bambino deve comportarsi bene al ristorante, ad esempio, perché la sua esuberanza può irritare le persone agli altri tavoli, e a nessuno importa quanto può essere difficile per un bambino restare seduto per più di un’ora. Accade anche che un adulto intervenga nella relazione del bambino con gli altri bambini, per far sì che il suo comportamento risponda alle norme sociali. È importante, ad esempio, che il bambino capisca che non può picchiare gli altri bambini. Ma è facile osservare che in questo caso le cose vanno da sé. Proprio come hanno imparato da soli a camminare o a parlare, i bambini imparano da sé come regolarsi con gli altri bambini. E anche questo ha un valore educativo: perché se da un lato la potenza di agire sembra diminuire, dall’altra invece aumenta in modo significativo. La potenza di agire aumenta insieme agli altri. Il bambino dovrà rinunciare al diritto di avere per sé tutti i giochi, o di appropriarsi dei giocattoli dell’altro bambini. Ma in compenso scoprirà il divertimento ben più grande che viene dal giocare insieme ad altri. E in questo caso non di tratta si socializzazione. Gli adulti insegneranno certo attività coordinate, ma quelle significative saranno le attività comuni che i bambini hanno scoperto e creato da sé.

Da "Insegnare. Un'idea di scuola", in preparazione.

Mette sui social le foto del cane e dell'ultima crostata ai mirtilli che ha fatto. Mai un pensiero su qualsiasi cosa. Mai un link che esprima un pensiero su qualsiasi cosa.
Le chiedi di firmare un appello per la Palestina. Non pervenuta.
Insegna. Anche Educazione Civica.

Educare è creare possibilità, ossia aumentare il potere di agire. Le sue dimensioni sono: la comunicazione, ossia la profondità nella relazione con l’altro; la filosofia, ossia la sospensione dell’adesione alla visione del mondo ricevuta; l’apertura, ossia la consuetudine con mondi culturali diversi, vicini o lontani nel tempo e nello spazio; l’intelligenza, ossia la considerazione profonda della realtà che ci circonda; la spiritualità, ossia il rapporto profondo con sé stessi.
Centrale è la categoria della profondità. Educare è muoversi oltre la superficie: di sé stessi, degli altri, del mondo culturale cui apparteniamo.

[Da _Insegnare. Un'idea di scuola_, in preparazione.]

Dare a Di Cesare quel che è di Di Cesare

Quando il fascista Putin ha aggredito l'Ucraina - e si trattava, e si tratta, di molta gente innocente massacrata, come continuazione del genocidio voluto da Stalin - Donatella Di Cesare ha negato il diritto degli Ucraini alla resistenza armata, in nome della nonviolenza.

Ora commenta la morte della brigatista rossa Barbara Balzerani con queste parole:

"La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna."

Dimenticando il principio fondamentale della nonviolenza: che i mezzi sono fini. E dunque le cose sono due: o è ed è sempre stata ignorante e ha parlato a vanvera di pace e nonviolenza, o è ed è sempre stata in malafede.

Proust:

>que je me donnais l’air d’un malotru, d’un vieil ours.

Raboni:

>che mi comportavo come uno zulù, come un vecchio orso.

Villano, cafone, zotico, bifolco. La scelta era ampia. No, Raboni sceglie zulù.

Dalla mia traduzione di Lucrezio (Libro II).

Spesso davanti agli splendidi templi
degli dei, sugli altari profumati
d’incenso viene ucciso un vitellino:
un caldo fiume di sangue gli scende
355 dal petto. Ma la madre, desolata,
percorre senza sosta i verdi anfratti
cerca dovunque la bifida impronta
getta lo sguardo inquieto in ogni luogo
se mai vi fosse il cucciolo amatissimo
e si ferma e muggisce tanto forte
da riempire l'intero bosco intorno
e ritorna alla stalla, e poi ancora,
360 straziata dall'assenza di suo figlio,
e né i teneri salici né l'erba
vivida di rugiada né il ruscello
che scorre giù, carezzando la riva,
possono darle alcun conforto o toglierle
la sofferenza che le invade l'animo;
365 né può distrarla o alleviare il dolore
la vista di altri vitelli nel campo
rigoglioso: perché quello che cerca
è proprio suo e lo conosce bene.

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