Dare a Di Cesare quel che è di Di Cesare

Quando il fascista Putin ha aggredito l'Ucraina - e si trattava, e si tratta, di molta gente innocente massacrata, come continuazione del genocidio voluto da Stalin - Donatella Di Cesare ha negato il diritto degli Ucraini alla resistenza armata, in nome della nonviolenza.

Ora commenta la morte della brigatista rossa Barbara Balzerani con queste parole:

"La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna."

Dimenticando il principio fondamentale della nonviolenza: che i mezzi sono fini. E dunque le cose sono due: o è ed è sempre stata ignorante e ha parlato a vanvera di pace e nonviolenza, o è ed è sempre stata in malafede.

Proust:

>que je me donnais l’air d’un malotru, d’un vieil ours.

Raboni:

>che mi comportavo come uno zulù, come un vecchio orso.

Villano, cafone, zotico, bifolco. La scelta era ampia. No, Raboni sceglie zulù.

Dalla mia traduzione di Lucrezio (Libro II).

Spesso davanti agli splendidi templi
degli dei, sugli altari profumati
d’incenso viene ucciso un vitellino:
un caldo fiume di sangue gli scende
355 dal petto. Ma la madre, desolata,
percorre senza sosta i verdi anfratti
cerca dovunque la bifida impronta
getta lo sguardo inquieto in ogni luogo
se mai vi fosse il cucciolo amatissimo
e si ferma e muggisce tanto forte
da riempire l'intero bosco intorno
e ritorna alla stalla, e poi ancora,
360 straziata dall'assenza di suo figlio,
e né i teneri salici né l'erba
vivida di rugiada né il ruscello
che scorre giù, carezzando la riva,
possono darle alcun conforto o toglierle
la sofferenza che le invade l'animo;
365 né può distrarla o alleviare il dolore
la vista di altri vitelli nel campo
rigoglioso: perché quello che cerca
è proprio suo e lo conosce bene.

Con il consueto equilibrio Matteo Salvini ha commentato il caso di Ilaria Salis, la donna italiana condotta in tribunale con i ceppi in Ungheria perché accusata di aver aggredito dei neonazisti durante una manifestazione. S’è detto scandalizzato, Salvini, perché “questa Salis” fa la maestra: lui ha evidentemente un’altra idea di come dev’essere una brava maestra italiana. E la cosa non sorprende. Quello che un po’ sorprende, perfino in Salvini, è che abbandoni del tutto, perfino cercando di screditarla con una notizia falsa (quella di una passata aggressione a un banchetto della Lega, per la quale la donna è stata assolta), una cittadina italiana:

Ma quella donna se è colpevole deve pagare. E se il reato l’ha commesso in Ungheria deve essere processata in Ungheria. La sinistra ci dice sempre che dobbiamo rispettare la magistratura, ecco, allora rispettino anche la magistratura ungherese.

Non si può fare a meno di ripensare alla reazione ben diversa che Salvini ebbe quando il Tribunale del Mare condanno a restare per altri due anni in India i due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, che in India non avevano malmenato qualche neonazista, ma avevano ucciso due pescatori. Allora i giornali lo descrivevano come “sconcertato e infuriato”. Al Tempo aveva dichiarato:

È un caso emblematico del peso politico dell’Italia nel mondo prima di tutto. E ciò si ripercuote nelle misure che danneggiano la nostra agricoltura, la nostra industria, il nostro mercato. […] La storia dei servizi segreti di mezzo mondo dimostra che quando vuoi portare a casa qualcuno, o vuoi catturare una persona in territorio straniero si fa. Se si vuole.

Nella visione del mondo di Salvini due marò accusati di omicidio sono italiani, italiani veri, e come tali vanno difesi contro ogni evidenza, e a costo di rompere le relazioni con uno dei più importanti stati mondiali. Una maestra antifascista invece non è nemmeno italiana: e va abbandonata a sé stessa. Anzi: attaccata pubblicamente per indebolirla ulteriormente.
Non esistono, per Salvini e per la nuova destra italiana, gli italiani. Esistono i suoi italiani. E solo quelli vanno difesi. La sua italianità è un grumo di merda tradizionalista, che raccoglie l’eredità schifosa del cattofascismo in una surreale, penosa, ridicola versione 2.0, in lotta aperta e risentita contro tutto quello che, nonostante tutto, il nostro Paese è riuscito a conquistare negli anni sul piano dei diritti civili.>

# Progettazione didattica condivisa

Alla fine del primo quadrimestre abbiamo fatto in quarta, come previsto, una valutazione della sperimentazione della Progettazione didattica condivisa, per decidere se continuare o meno.
La classe ha scelto di continuare.

Queste sono le mie osservazioni:

Il problema principale emerso, segnalato dagli studenti, è la lentezza. Gli studenti hanno scelto di procedere per lo più con lo studio autonomo e per gruppi, con periodiche lezioni del docente; ciò ha richiesto un tempo per affrontare i temi quasi doppio di quello necessario con la lezione. Pur essendo sempre stato a disposizione degli studenti per ogni chiarimento necessario sugli argomenti studiati, gli studenti in qualche caso si sono sentiti un po’ abbandonati a loro stessi. Mentre l’impegno della maggior parte del gruppo è stato apprezzabile, alcuni studenti hanno impiegato la libertà d’azione in modo poco costruttivo; l’impressione però è che l’incidenza di questi comportamenti sia un po’ esagerata nella valutazione complessiva. Del resto, anche con il metodo tradizionale una minoranza degli studenti tendeva a dissociarsi dal lavoro comune.

La sperimentazione offre agli studenti uno spazio di esplorazione di pratiche di studio alternative alla lezione. Il gruppo ha adottato da subito lo studio individuale e di gruppo e ha proseguito così per tutto il quadrimestre. Ho evitato di dare sollecitazioni su modalità alternative di organizzazione, perché desideravo che le esplorassero da soli.

Non tutte le competenze che sono state scelte come rilevanti all’inizio dell’anno sono state adeguatamente stimolate dal lavoro dei gruppi; in particolare non sono stati letti abbastanza testi dei filosofi. Mi sorprende anche che gli studenti non abbiano chiesto di tenere seminari di Maieutica Reciproca: ne è stato fatto solo uno, a dicembre. Probabilmente temevano di perdere altro tempo prezioso.

Fin qui gli aspetti negativi. Gli aspetti positivi emergono con decisione dalla valutazione degli studenti. Hanno acquisito più autonomia, che era l’obiettivo principale. Anche lo spirito di collaborazione sembra essere migliorato. L’aver stabilito insieme cosa studiare e con quali tempi ha dato alla classe la sensazione di perseguire un lavoro comune, e non di essere spinti dal docente a completare il programma.

Molto positiva sembra la pratica delle interrogazioni tra pari, soprattutto per superare l’ansia e il malessere che ormai sono associati alle verifiche. Un aspetto negativo è che viene a mancare quel momento di dialogo che, anche durante le verifiche, è un momento di approfondimento e di confronto culturale.

Accogliendo le proposte degli studenti, nel secondo quadrimestre procederemo alternando studio di gruppo con mie lezioni. Tenendo sempre aperta però la possibilità di una diversa organizzazione del lavoro. La Progettazione didattica condivisa non è un metodo didattico, ma il riconoscimento del diritto del gruppo della classe di ricercare in modo autonomo, con la collaborazione del docente, il metodo di volta in volta più adatto per raggiungere gli obiettivi di conoscenza e di competenza che sono stati condivisi.

attraversamenti.info/valutazio

Da Consegnarsi. Breve saggio su quello che si fa a scuola, in preparazione.

Bisogna educare, dunque: e per farlo non basta insegnare le regole sociali, che è un’altra cosa. Ma cos’è, allora, educare? Prima di azzardare una risposta consideriamo ancora cosa non è educare.
Molti educatori, mossi dalle migliori intenzioni, ritengono che educare significhi portare la persona o le persone che hanno la responsabilità di educare verso un loro ideale o modello. Si tratta, in genere, di un duplice modello. Da un lato hanno una certa idea di come debba essere una persona e cercano di condurre i loro figli o i loro studenti verso questo modello. Il quale non è altro che una fotografia più o meno fedele di quello che è lui stesso, l’educatore. Ogni insegnante pertanto desidera che il suo studente faccia spazio in modo significativo, nella sua vita futura, all’elemento intellettuale; e sarà felicissimo se si dedicherà in modo particolare alla sua disciplina. Può essere al contrario che un genitore che faccia un lavoro manuale desideri avere come figlio un futuro bravo meccanico o idraulico, e consideri con perplessità un futuro da laureato in filosofia.
Dall’altro lato c’è un modello di società, che agisce in particolare in coloro che educano e insegnano per professione. Sappiamo che è desiderabile un certo tipo di società: democratica, inclusiva, egualitaria, pacifica. Lo sappiamo perché ce lo dice la Costituzione, e pensiamo in assoluta buona fede che il nostro compito, in quanto insegnanti, sia quello di condurre i nostri studenti verso questo ideale.
Per educare dunque dovremmo delineare un modello di individuo e un modello di società. Ma come farlo? Chi ha il diritto di stabilire quale individuo è desiderabile diventare? La questione del modello di società sembra meno difficile. Siamo in una società democratica, abbiamo regole e valori condivisi, al di là delle differenze politiche. E tuttavia sappiamo che queste differenze esistono, e il modo di concepire la democrazia, le sue regole e i suoi valori di una persona di destra sono assolutamente diversi da quelli di una persona di sinistra. E la faccenda si complica quando si considerano alcuni valori legati – almeno nella percezione comune – al mondo del lavoro, come la competitività e l’efficienza. Buona parte della polemica pedagogia (più spesso: anti-pedagogica) e politica sulla scuola riguarda questo punto. Quali dei tanti valori e modelli di vita presenti in società la scuola deve trasmettere? E chi ha il diritto di stabilirlo?
Si potrebbe dire che ognuno ha il diritto di educare secondo il proprio personale modello di individuo e la propria personale interpretazione della democrazia. Ma in questo c’è un movimento che appare discutibile: l’educatore si fa avanti e occupa tutta la scena. Ne ha il diritto?
La questione del diritto di educare pare insolita. A porla è stato, mi pare, il solo Lev Tolstoj. Noi riteniamo di avere non solo il diritto, ma anche il dovere di educare; ma se l’educazione, secondo la definizione che ne dà Tolstoj, è la “tendenza di una persona a plasmarne un’altra a sua immagine” , allora il problema si pone. Se accettiamo questa definizione di educazione sembra inevitabile la conclusione del grande scrittore russo: “L’educazione è l’aspirazione al dispotismo morale elevata a principio”. In alcuni casi ciò è assolutamente chiaro. Ha fatto molto scalpore il memoir di Tara Westover, una donna cui un padre oppressivo, seguace di una setta millenarista, ha impedito di frequentare la scuola, per meglio educarla ai suoi principi religiosi, per lo più deliranti. La sua storia è un doloroso atto di accusa verso i genitori e l’educazione che si sono ritenuti in diritto di imporle. Ma, si dirà, il problema in quel caso è che i genitori avevano principi estremi, che hanno allontanato la figlia dal resto della società. Che dire invece quando è la società stessa che, consapevole di avere alcuni problemi, decide di affrontarli attraverso l’educazione? Stiamo vivendo una gravissima crisi ecologica. Non dovremmo educare le nuove generazioni al rispetto dell’ambiente? E non dovremmo preoccuparci di formarli come cittadini attivi e responsabili, capaci di vivere in una vera democrazia? Una società non ha il diritto di educare le nuove generazioni secondo un modello umano desiderabile?
Prima di rispondere consideriamo ancora una questione.

Prima vennero a prendere i Testimoni di Geova, ma non importò a nessuno perché i Testimoni di Geova stanno sul cazzo a tutti.

Questo mio articolo è del 2017.

attraversamenti.info/i-testimo

Nel 2023 ho letto 69 libri (a meno che in questi tre giorni non faccia in tempo a leggere il settantesimo).
Il catalogo è questo.

Gennaio

Hermann Hesse, Il lupo della steppa, Mondadori, Milano s.d. [e]
Bryan W. Van Norden, Taking Back Philosophy. A Multicultural Manifesto, Columbia University Press, New York 2017 [e]
Ngakpa Chogyam, Tecniche di meditazione tibetana, Ubaldini, Roma 1989 [cartaceo]
Bernardo Zannoni, I miei stupidi intenti, Sellerio, Palermo 2021 [e]
Ingvar Stenstrom, Interlingua. Instrumento moderne de communication international, Societate Svedese pro Interlingua, 2010 [cartaceo]

Febbraio

Augusto Cavadi (a cura di), A scuola di antimafia, DG Editore, Trapani 2006 [cartaceo]
Aldo Schiavone, Sinistra! Un manifesto, Einaudi, Torino 2023 [e]
Andrés Neumann, Ombelicale, Einaudi, Torino 2023 [e]
Ryan E. Stokes, Satana, Queriniana, Brescia 2023 [cartaceo]
Alessio Matiz, Andrea Paschetto, Sid e le otto sfere di luce. Come insegnare la meditazione mindfulness ai bambini, Mimesis, Milano-Udine 2022 [cartaceo]
Sergio Pasquandrea, L’officina metrica. Quaderno di traduzioni, Gattogrigio Editore, Lonato del Garda 2022 [cartaceo]

Marzo

Paolo Fasce (a cura di), Scuola: giuro di dire tutta la verità, Erikson, Trento 2023 [e]
Milo De Angelis, Linea intera, linea spezzata, Mondadori, Milano 2021 [e]
Jamie Chan, Learn Python in One Day and Learn It Well, Learn Coding Fast, 2014 [e]
Marvyn Peake, Tito di Gormenghast, Adelphi, Milano 2013 [e]
Daniele Piccini, Inizio fine, Crocetti, s.l. 2021 [e]
Michel Bakounine, Catéchisme révolutionnaire, L’Herne, Paris 2010 [e]

Aprile

Chiara Valerio, La matematica è politica, Einaudi, Torino 2020 [e]
Hans Christian Andersen/Daniele Marotta, L’ombra, Inkdropstudio, Siena 2022 [e Kindle]
Milo De Angelis, De Rerum Natura di Lucrezio, Mondadori, Milano 2022 [cartaceo]
Giuseppe Cognetti, Un altro mondo è possibile? Pace, dialogo, nuovo umanesimo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2023 [cartaceo]
Franco Battiato, Il silenzio e l’ascolto, Castelvecchi, Roma 2017 [e]
Iacopo Iacoboni, Gianluca Paolucci, Il tesoro di Putin, Laterza, Roma-Bari 2023 [Kindle]

Maggio

Sri Aurobindo, Iśa Upaniṣad, Astrolabio-Ubaldini, Roma 2011 [cartaceo]
Alain Caillé, Extrême droite et autoritarisme partout, pourquoi?, Le Bord De L’Eau, Lormont 2023 [cartaceo]
Michela Murgia, Le tre ciotole, Mondadori, Milano 2023 [e]
Internationale Convivialiste, Second manifeste convivialiste. Pour un monde post-néolibéral, Actes Sud, Arles 2020 [Kindle]
Francesco Fistetti, Convivialità. Una filosofia per il XXI secolo, il melangolo, Genova 2017 [cartaceo]
Adolfo Scotto di Luzio, L’equivoco don Milani, Einaudi, Torino 2023 [Kindle]

Giugno

Cristiano Corsini, La valutazione che educa, FrancoAngeli, Milano 2023 [cartaceo]
Simeon Wade, Foucault in California, Blackie edizioni, Milano 2023 [cartaceo]
Carlo Milani, Tecnologie conviviali, elèuthera, 2022 [Kindle]
Remi Hess, Gaby Weigand, Corso di analisi istituzionale, Sensibili alle foglie, s.l. 2008 [cartaceo]
Marvin Peake, Gormenghast, Adelphi, Milano 2005 [e]
Renato Curcio, Marita Prette, Nicola Valentino, La socioanalisi narrativa, Sensibili alle foglie, s.l. 2012 [cartaceo]

Luglio

Alessandra Chiricosta, Filosofia interculturale e valori asiatici, O barra O edizioni, Milano 2013 [cartaceo]
Francesco De Bartolomeis, La ricerca come antipedagogia, Feltrinelli, Milano 1973 (ottava edizione) [cartaceo]
Elly Schlein, La nostra parte, Mondadori, Milano 2022 [Kindle]
Pierre Vesperini, Lucrèce. Archéologie d’un classique européen, Fayard, Paris 2017 [e]
Albert Einstein, Leggendo Lucrezio, La scuola di Pitagora, Napoli 2012 [cartaceo]
Michela Murgia, God save the queer, Einaudi, Torino 2922 [e]

Agosto

Riccardo Manzotti, Simone Rossi, Io & Ia. Mente, cervello & GPT, Rubbettino, Soveria Mannelli 2023 [Kindle]
César Vallejo, Trilce, Argolibri, Ancona 2021 [cartaceo]
Tzvetan Todorov, Goya, Garzanti, Milano 2012 [e]
Mervyn Peake, Via da Gormenghast, Adelphi, Milano 2009 [e]
Violette Ailhaud, L’uomo seme, Playground, Roma 2014 [cartaceo]

Settembre

Francesco D’Isa, Adriano Ercolano, Introduzione alla meditazione, Tlon, 2023 [Kindle]
Osho, Perché siamo infelici?, Feltrinelli, Milano 2012 [e]
Maddalena Rostagno, Andrea Gentile, Il suono di una sola mano. Storia di mio padre Mauro Rostagno, il Saggiatore, Milano 2013.
Luca Ricolfi, La rivoluzione del merito, Rizzoli, Milano 2023 [e]
Ingmar Bergman, Lanterna magica, Garzanti, Milano 2008 [e]
Raniero Gnoli, L’estetica indiana. La scuola di Abhinavagupta, Carocci, Roma 2023 [cartaceo]

Ottobre

Mircea , Melancolia, La nave di Teseo, Milano 2022 [e]
Ornela Vorpsi, Il paese dove non si muore mai, minimum fax, Roma 2018 [e]
Gert Biesta, Il mondo al centro dell’educazione, Tab edizioni, Roma 2023 [e]
Fréderic Lenoir, La filosofia dei bambini, La nave di Teseo, Milano 2019 [e]
Claudia Matini, Cooperative Learning: istruzioni per l’uso, La Fonte, Scheggia e Pascelupo 2019 [e]
Luca Mori, Federico Squarcino, Nel nome dello yoga. Filosofia, disciplina, stile di vita, Solferino, Milano 2019 [e]
, Il campo è aperto, Baldini+Castoldi, Milano 2023 [Kindle]

Novembre

Ferdinando Montuschi, Scuola senza voti, La Scuola, Brescia 1977 [pdf]
Roberto Renzetti, Il diavolo, l’altro Dio, Tempesta, Roma 2014 [cartaceo]
Mario Martini, L’altra via di Aldo Capitini, Aras, Fano 2023 [cartaceo]
Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò, Mondadori, Milano 2021 [e]

Dicembre

Adriana Cavarero, Il femminile negato. La radice greca della violenza occidentale, Pazzini, Villa Verucchio 2021 (terza edizione) [pdf]
Giacomo Leopardi, La strage delle illusioni, a cura di Mario Andrea Rigoni, Adelphi, Milano 1993 (seconda edizione) [pdf]
Teresa Forcades, La Trinità, oggi, Castelvecchio, Roma 2021 [e]
Francesco d’Isa, Sunyata, Eris, Torino 2023 [pdf]
Sylvie Bourcier, Capricci, crisi di collera, aggressività, Red!, Cornaredo 2015 [cartaceo]
Nicola Crocetti e Davide Brullo (a cura di)Dimmi un verso anima mia. Antologia della poesia universale, Crocetti, Milano 2023. [cartaceo]

Questa è una giornalista televisiva israeliana. Le ho risposto che anche Hitler diceva qualcosa del genere. Il mio commento è stato rimosso dopo un minuto da Meta. Il suo post non viola invece alcuna policy.

Sono ricapitato sul polymny.studio/ un servizio web che permette di creare video didattici con un pdf a supporto. È stato rifatto ed è disponibile anche in inglese. Merita sicuramente. Grazie a @framaka per avermelo ricordato @nilocram @scuola@a.gup.pe @scuola@poliverso.org #scuola

==SPOILER==
C’è questa donna picchiata dal marito. Il cinema italiano non è in grado di mostrarci una donna realmente picchiata dal marito; per cui, nonostante l’omaggio al neorealismo, nel film di Cortellesi le botte sono a passi di danza. Questa donna, così infelice, ha una possibile via d’uscita: un suo ex fidanzato che la porterebbe via con sé. E lei si decide a prenderla, questa via d’uscita: e lo spettatore pregusta l’happy end. Ma ecco che avviene l’imprevisto, e la via d’uscita si richiude, e pare che non vi sia speranza. Ma giammai. “C’è ancora domani”, annuncia la protagonista. E lo spettatore immagina che domani, per chissà quale misterioso meccanismo - in fondo è la funzione di sceneggiatori e registi, escogitare misteriosi meccanismi - la nostra protagonista riuscirà e ricongiungersi al suo salvatore. Ma no. Domani è il giorno del voto. Del primo voto per le donne.
La via d’uscita per le donne, dice Cortellesi, non è romantica. Non è in un uomo che sostituisce un altro uomo, e può essere che non sia migliore di lui (come dimostra il fidanzato della figlia della protagonista). La via d’uscita è politica. E questo è un bel messaggio, senza alcun dubbio. E qui lo spettatore, spiazzato, applaude.
A me il film non è piaciuto. E non perché dica che la via d’uscita è politica. Ma perché lo dice in modo banale. Perché pensa in modo banale la politica. Nella direzione, per intenderci, delle commosse letture della Costituzione del tardo Benigni. Quello che non torna è che questa politica non ha cambiato nulla per le donne. Il primo voto delle donne ha portato al potere una classe politica di uomini. Ai quali sono seguiti altri uomini, e poi altri uomini ancora. Uomini corrottissimi, violenti, criminali, mafiosi. Per cui no: il voto non è l’atto liberatorio che il film vuole far credere. Non lo è mai stato, né lo sarà mai. Non lo sarebbe nemmeno se avessimo una classe politica degna di questo nome, e non la scelta imbarazzante tra gli idioti, i professionisti della politica e i criminali.
Quello che il film non dice è che certe ferite della società - e la violenza patriarcale è la più grave - vanno affrontate a livello di società. La narrazione rassicurante è che le donne potranno affidare serene e fiduciose la loro causa ai politici. Ma non funziona così. Qualsiasi società che speri di cambiare attraverso i partiti politici è destinata a replicare sé stessa. Una società si cambia stando nelle relazioni sociali, non appellandosi a un’istanza superiore. Per questo il film, comunque lo si giudichi dal punto di vista estetico, è politicamente superficiale.

Un uomo, che naturalmente merita ogni rispetto per la sofferenza che sta provando, non riesce a parlare della figlia uccisa senza evocare la figura di un uomo che uccide.

Gli studenti hanno bisogno di educazione. Hanno bisogno, cioè, di relazione. Dietro il loro malessere, dietro gli stessi comportamenti provocatori, c’è questa domanda di relazione autentica. Chiedono di potersi confrontare con adulti significativi, che sappiano e vogliano comunicare con loro in modo autentico. Trovano, per lo più, figure lontane, seppellite dietro il ruolo, spesso incapaci di una relazione che non sia mediata dal giudizio, perfino dal voto. E non mi meraviglierei se comparisse tra gli altri il voto per l’affettività o i sentimenti. Che gli studenti impareranno a simulare, come imparano a simulare tutto il resto, in un ambiente in cui a predominare sono la falsità e l’inautenticità.

attraversamenti.info/la-miseri

Cinque cose

Uno. Il mondo così come lo vediamo non è che illusione. O meglio: una interpretazione dovuta alla imperfezione dei nostri sensi. Le cose non esistono. La materia è fatta per lo più di vuoto.
Due. Il nostro io non è nulla di sostanziale. Ciò con cui ci identifichiamo non è che un modo particolare di funzionare del nostro cervello. Ne esistono altri, che si manifestano sia durante il giorno che, in modo prevalente, durante la notte.
Tre. La nostra posizione nell'universo non è affatto diversa da quella di un acaro o di un batterio.
Quattro. Non esiste nessuno, tra i nostri simili, che possa davvero comprenderci.
Cinque. Perché in fondo nemmeno noi stessi possiamo comprenderci. Il cammino di comprensione di sé è un eterno smarrirsi in infiniti labirinti, fino a quando si acquista la consapevolezza che noi stessi siamo labirinto.

Non scrivo quasi più qui. Perché? Alla fine, credo che sia alienante non sapere con chi ho a che fare. Non amo i nickname.

Sul Jerusalem Post di ieri Aaron Katsman parlava dell’importanza della gentilezza, partendo da quell’uomo gentilissimo - tentato assassinio del figlio a parte - che è stato Abramo, e di quanta gentilezza vi sia in Israele in questi giorni. E concludeva:

May all the incredible kindness taking place help us have a true salvation, a military victory and be successful in eradicating the forces of evil that have besieged us.

Considerato in un’ottica filosofica il problema del rapporto tra culture è dunque ridimensionato. Lo sguardo filosofico su una cultura consente di considerarne la ricchezza interna, il pluralismo, le molteplicità di posizioni che ha espresso nel corso del tempo. Abbiamo compiuto l’errore di leggere il rapporto tra le culture in una prospettiva religiosa che rende ogni cultura chiusa e ferma nella sua identità. Sub specie religionis il mondo è dominato dai grandi blocchi culturali del cristianesimo, dell’islam, dello hinduismo eccetera. Sub specie philosophiae ognuno di quei blocchi si rivela come il fragile tentativo politico di forzare all’unità una complessità irriducibile. Dietro il nazionalismo hindu, ad esempio, appare la complessità di un mondo culturale che fin dai tempi più antichi ha espresso posizioni scettiche, materialistiche, ateistiche, che oggi sono certamente minoritarie, ma esistono (si pensi, per il secolo scorso, alla figura di Goparaju Ramachandra Rao, detto Gora).
Sul piano politico, adottare lo sguardo filosofico vuol dire procedere oltre la posizione del multiculturalismo, che compie appunto l’errore di identificare una cultura con la sua religione. Una identificazione che non vale per nessuna cultura, nemmeno per quelle che sono finite sotto il controllo del fondamentalismo religioso. Di più: identificare una cultura con la sua religione vuol dire appunto fare il gioco dei fondamentalisti, accettare in nome della pluralità e del rispetto della differenza ciò che ne è l’esatto contrario, ossia la riduzione di ogni fatto sociale e culturale alla religione (e per lo più riducendo la stessa complessità religiosa a uno solo dei suoi aspetti).
Da “Ponti, incastri e zattere. Saggi di filosofia interculturale”, in preparazione.

Show more
Qoto Mastodon

QOTO: Question Others to Teach Ourselves
An inclusive, Academic Freedom, instance
All cultures welcome.
Hate speech and harassment strictly forbidden.